Se c’è una cosa che il governo Meloni sta prendendo sul serio è la cultura: dal suo insediamento, il primo esecutivo guidato da un partito erede del Msi ha cominciato a picchiare un giorno sì e l’altro pure su quella che, a torto a ragione, ritiene essere una cultura ostile alla sua visione del mondo, tra polemiche costruite ad arte sui social o sui giornali d’area e manovre che coinvolgono l’elettrodomestico più diffuso: la televisione.

L’ULTIMO CASO, al deciso sapore di censura, riguarda lo scrittore Antonio Scurati e il suo monologo sul 25 aprile previsto ieri sera all’interno del programma «Chesarà…» di Serena Bortone, su Raitre. È stata la stessa conduttrice a far scoppiare il caso con un post sui suoi social: «Ho appreso ieri sera (venerdì, ndr), con sgomento, e per puro caso, che il contratto di Scurati era stato annullato. Non sono riuscita ad ottenere spiegazioni plausibili. Ma devo prima di tutto a Scurati, con cui ovviamente ho appena parlato al telefono, e a voi telespettatori la spiegazione del perché stasera non vedranno lo scrittore in onda sul mio programma. Il problema è che questa spiegazione non sono riuscita a ottenerla nemmeno io».

Il monologo di Scurati, diffuso in lungo e in largo già da ieri pomeriggio (è anche sul sito del manifesto), è un duro attacco a Meloni. Partendo dall’omicidio Matteotti, l’autore della fortunata trilogia di libri su Mussolini edita da Bompiani dice che «la presidente del consiglio si è pervicacemente attenuta alla linea ideologica della sua cultura neofascista di provenienza» perché «ha preso le distanze dalle efferatezze indifendibili perpetrate dal regime (la persecuzione degli ebrei) senza mai ripudiare nel suo insieme l’esperienza fascista, ha scaricato sui soli nazisti le stragi compiute con la complicità dei fascisti repubblichini, infine ha disconosciuto il ruolo fondamentale della Resistenza nella rinascita italiana (fino al punto di non nominare mai la parola “antifascismo” in occasione del 25 aprile 2023)».

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La polemica è andata avanti per l’intera giornata con un epilogo inatteso: Bortone ieri sera ha aperto la puntata recitando il testo. Ma prima è tornata a ricostruire la vicenda: «Ho letto ricostruzioni fantasiose e offensive. Qualche giornale ha scritto che ci sarebbe stata una questione di soldi. Preciso che la reazione di Scurati è stata di regalarmi il testo autorizzandomi a leggerlo».

NON È LA PRIMA VOLTA, però, che accade un caso del genere a «Chesarà…». Già lo scorso marzo, infatti, ad essere vittima di un inaspettato taglio è stata la scrittrice Nadia Terranova con il suo monologo che trattava un tema caldo di quelle settimane: la carica della polizia contro gli studenti di Pisa, dopo la quale persino il presidente Sergio Mattarella aveva espresso la sua riprovazione. Contattata dal programma, Terranova aveva scritto e inviato il suo testo. Che però non andava bene.

Le è stato allora chiesto di cambiare tema, ma al suo rifiuto tutto è saltato. Terranova ha poi inserito il monologo nella sua newsletter chiamata «Un posto piccolo», e oggi è pubblicato sul manifesto. Un rifiuto, quello di «Chesarà…» che costituisce una prova in più del clima pesantissimo che si respira nella televisione pubblica.

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Che gli ordini arrivino dall’alto o che siano prese di posizione di dirigenti più realisti del re poco importa, perché il risultato non cambia. Certi argomenti, certe parole, certe posizioni non sono gradite in casa Rai. La premier Giorgia Meloni, probabilmente consapevole del pasticcio combinato con Scurati, ieri pomeriggio ha poi provato a mettere una toppa sul buco pubblicando sul suo profilo di Facebook il monologo censurato. «In un’Italia piena di problemi, anche oggi la sinistra sta montando un caso», ha scritto, per poi sottolineare di non aver mai voluto censurare nessuno.

TROPPO POCO, troppo tardi: le opposizioni, per una volta tutte unite e compatte, hanno fatto fuoco e fiamme, rilasciando commenti durissimi sull’accaduto con toni che rimandano agli anni cupi degli editti berlusconiani. Dall’altra parte della barricata, la vasta schiera di giornalisti e influencer di area governativa, già prima dell’intervento della premier, aveva lanciato la sua contronarrazione: Scurati non è andato al programma di Bortone per motivi economici. La verità però è diversa: l’annullamento, come da email aziendali pure circolate nella giornata di ieri, era dovuto a «motivi editoriali» e nulla c’entrava la questione del compenso pattuito, 1.500 euro lordi.

È vero, tuttavia, che tra lo scrittore e il programma c’era stata una trattativa, come del resto sempre accade in casi del genere: lui aveva chiesto 1.800 euro, poi l’accordo è stato trovato a 300 euro di meno. A questo punto la vulgata di destra ha provato a rilanciare dicendo che la somma sarebbe scandalosamente alta, ma chiunque abbia anche solo una vaga idea del costo delle trasmissioni televisive e dei cachet degli ospiti (che spesso non sono noti ed affermati scrittori) sa bene che si tratta di cifre neanche troppo alte.

SUL CASO DELLE CENSURE è intervenuto anche il Cdr degli approfondimenti della Rai (che si è spaccato), mettendo insieme le ultime assurdità: oltre «Chesarà…», Report (repliche ridotte) e Porta a porta (sette uomini e zero donne a parlare di aborto). «Ci chiediamo chi sia il mandante di questi scivoloni: la politica? il governo? Il cda? – si legge in un comunicato – E specialmente che senso abbia questo impeto tafazziano, che sta minando la nostra autorevolezza presso il pubblico. Qualcuno davvero crede che tutto ciò possa spostare consensi per le prossime elezioni? Qualcuno pensa davvero che la Rai sia uno strumento per le campagne elettorali o per insignificanti posizionamenti politici».