Tocca al drone acidulo delle launeddas di Luigi Lai inaugurare la carovana multiforme dell’Errichetta Festival. Certo è un po’ strano che le danze di una rassegna dedicata ai grandi maestri della musica balcanica e mediorientale venga affidata a un capofila della musica tradizionale sarda, ma il set di Lai va inteso più come un’introduzione festosa e solenne che non come un tassello vero e proprio del programma. Il virtuoso più importante e longevo di questo strumento si disimpegna da par suo. Mezz’ora di respirazione circolare, tre piccole canne in bocca manovrate con abilità inarrivabile…Doveva essere un’introduzione e si è trasformata in una premessa suntuosa. Premessa di un festival che in sette anni di cocciuta presenza nel calendario degli eventi romani è finito per diventare un appuntamento ineludibile della scena, non solo romana, ma anche nazionale. Un vero festival di musica etnica, con una programmazione rigorosa e un pubblico che si fida dei responsabili anche quando non conosce bene i nomi inseriti in scaletta.

Del resto anche quest’anno il palinsesto era davvero pieno di perle e di sorprese. A cominciare dal duo che ha fatto seguito all’esibizione di Lai: Sokratis Sinopoulos e Evgenios Voulgaris. Un lungo trip meditabondo ed estatico nella tradizione passata e presente della musica ottomana. Sinopoulos armeggia la sua lira e Voulgaris lo accompagna nelle trame dei vari «maqam» con il suono più grave dello yayli tambur, strumento a corde dal braccio. La chiusura della prima giornata del festival è affidata a una sorta di ricongiunzione: quella tra un grande cantante classico iraniano e alcuni talentuosi musicisti della diaspora. Mohammad Motamedi applica alle poesie di Attar, Trahi, Korasani e Rumi il suo imprinting vocale e l’Ensemble Doosti lo condisce con l’entusiasmo di un ensemble giovane, perfetto per le liriche di poeti per nulla impomatati: «Credo che andrò a ubriacarmi e a danzare al gran bazar/e a perdere tutto in un’ora, compreso me stesso», recita ad esempio una delle poesie di Attar.

Con un altro ensemble che mette a confronto due generazioni di musicisti si è aperta la seconda giornata del festival. L’Ensemble Lale dalla Georgia, vede un «albero di canto» come Nineli Gvinjilia flirtare con tre giovanissimi interpreti. La linfa sonora è quella della Mengrelia, regione rurale della Georgia, la cui lingua è protetta dall’Unesco e si appoggia meravigliosamente al timbro della dombra, il cordofono simbolo della musica georgiana.

Un concerto quello dell’Ensemble Lale che ha avuto una postfazione illuminante nella giornata di domenica con la proiezione di The Dazzling Light of Sunset della regista Salome Jashi: escursione nei territori della Georgia Occidentale, fra tradizioni e contraddizioni. Degli appuntamenti fissati al Teatro Italia resta da segnalare il progetto James Wylie’s Lost Cities Ensemble con il sax di James Wylie affiancato dalla voce e dall’oud di Ziad Rajab e poi ancora ney, viola da gamba, percussioni e il dirompente Marin Bunea Lautari Ensemble che ha chiuso i giochi concertistici del sabato. Un quintetto schierato in una formazione che richiama molti altri combo di matrice rom sparsi per l’Europa orientale: violino (quello del leader Marin Bunea), fisarmonica, clarinetto, contrabbasso. Musica adrenalinica che anche quando calma le acque sembra prepararsi a riagitarle innescando la trottola di un forsennato tempo dispari.

L’Errichetta festival comincia con un drone e finisce con un drone. Stavolta tocca a un neo-zelandese che ha deciso di omaggiare le api. Idea bizzarra, ma appropriata. Il sassofonista Hayden Crisholm innesca infatti campionamenti del ronzio di un alveare e li alterna al soffio soffice dello sruti-box indiano, poi aggiunge letture dalle Georgiche di Virgilio e cadenza il tutto con il respiro balucinante del suo sax e del suo canto di gola. Un’esperienza piuttosto psichedelica celebrata all’interno della Chiesa Evangelica Metodista.