C’è allarme, in Guatemala, tra le alte sfere del potere. Sabato, la popolazione si è fatta sentire con una storica manifestazione spontanea contro la corruzione e l’impunità. Studenti, sindacalisti, artisti e religiosi hanno sfilato per chiedere le dimissioni del presidente Otto Pérez Molina e della vicepresidente, Roxana Baldetti. All’origine c’è il cosiddetto scandalo La Linea, che ha evidenziato una rete criminale di tangenti e corruzioni alle dogane in cui compaiono diversi alti funzionari del governo.

Per oltre sei ore, nella capitale e in diverse altre città del paese, la popolazione ha scandito slogan e lanciato petardi al grido di «El pueblo unido jamas sera vencido». Alcuni cartelli dicevano: «Non mi piace questo governo di mafiosi», altri riassumevano: «Ci hanno tolto talmente tanto che alla fine ci hanno tolto la paura». La manifestazione è stata convocata da un gruppo di cittadini tramite Facebook. E subito è partito un altro appello con l’etichetta #Revoluciónya, che invitava a tornare in piazza ieri con un presunto «piano B». Alcune scuole hanno sospeso le lezioni ed è partito un tam tam fra le organizzazioni popolari per sapere chi avesse convocato il raduno. Il governo ha detto che potrebbe essere partito dal Venezuela o dal Messico, la sinistra invece ha chiamato in causa lo stesso governo dell’ex generale Molina, detto Mano dura: una provocazione, insomma, per creare incidenti e nuova repressione. Per queste fonti, artefice del messaggio sarebbe stato l’ambasciatore guatemalteco negli Stati uniti, Julio Ligorria, tornato improvvisamente nel paese nel fine settimana.

L’interessato ha smentito, ma l’ipotesi non è certo da scartarenell’intreccio di mafia e potere che governa un paese ad altissimo rischio per chi fa opposizione e ancora permeato dagli stessi interessi che hanno tenuto in piedi la lunga e sanguinosa guerra civile (1960-’96). L’ex generale Molina è stato uno dei protagonisti del conflitto e le organizzazioni per i diritti umani vorrebbero vederlo a processo per alcuni massacri di indigeni.
Il 26 aprile è stato ricordato il vescovo Juan Gerardi, ucciso nel 1998 dopo aver denunciato le atrocità commesse dall’esercito contro la popolazione durante la guerra civile, che ha lasciato un saldo di oltre 200.000 vittime, tra morti e scomparsi. Un omicidio di stato, commesso a pochi passi dal Palazzo presidenziale e a tutt’oggi impunito. Intanto, il paese si prepara alle elezioni del prossimo 13 settembre. Dal 2 maggio si potranno presentare le candidature. In un contesto in cui ideali e prospettive contano poco, le figure di sempre cercano di accomodarsi dove più trovano il proprio tornaconto, disegnando alleanze che garantiscano la maggior quota di potere. I partiti esistenti sono ben 28, ma gli spazi di vera agibilità politica per l’opposizione restano esigui, ulteriormente ridotti dall’impossibilità di competere con i grandi gruppi di interesse e di sostenere gli alti costi della campagna.