La procura di Milano ha chiesto il processo per Daniela Santanchè in relazione alla presunta truffa ai danni dell’Inps sui fondi Covid intascati dal gruppo Visibilia, di cui lei è stata presidente fino al gennaio 2022. La notizia, ampiamente attesa, è stata diramata nel primo pomeriggio di ieri con una nota firmata dal procuratore di Milano Marcello Viola, e, da lì, è cominciato il consueto balletto di dichiarazioni, con le opposizioni che, in coro, chiedono le dimissioni della ministra del Turismo e la maggioranza che si dimena in sua difesa, tra professioni di garantismo e dichiarazioni di assoluta serenità e fiducia nel corso della giustizia. L’udienza preliminare si terrà con ogni probabilità dopo le elezioni europee e, stando a quanto trapela dal tribunale di Milano, non è escluso che possa cominciare addirittura dopo la pausa estiva. Il caso, però, ormai è esploso e i guai per Santanchè sembrano destinati a non finire qui: la recente chiusura delle indagini sull’altro filone d’inchiesta sul gruppo Visibibilia – quello sui bilanci truccati – porterà a una probabile seconda richiesta di rinvio a giudizio. Oltre che la ministra, il gip di Milano dovrà valutare la posizione anche del suo compagno Dimitri Kunz e del manager Paolo Giuseppe Concordia, per i quali il procuratore aggiunto Laura Pedio e dei pm Maria Giuseppina Gravina e Luigi Luzi pure hanno chiesto il processo.

LA STORIA, nota ormai da diversi mesi, riguarda l’erogazione di 126 mila euro per migliaia di ore di ammortizzatori sociali non dovuti in favore di società riconducibili a Visibilia. A denunciare la situazione fi la responsabile «Investor relations» del gruppo, Federica Bottiglione, che, leggendo le buste paga, aveva appreso di essere stata messa in cassa integrazione (a zero ore) a sua insaputa. Questo malgrado avesse continuato a lavorare regolarmente per tutto il periodo della pandemia. Come lei anche altri dodici dipendenti. Nel fascicolo con cui la procura chiede il processo per Santanchè e gli altri, ci sono anche le chat tra Kunz e Bottiglione, con il primo che le tenta tutte per cercare di dissuadere la dipendente dal denunciare il misfatto: «Federica, così metti nei casini tutti», scriveva il compagno della ministra. E i casini sono infatti arrivati con la contestazione di aver preso queste decisioni (insieme a Santanchè e a Concordia) «per conseguire un ingiusto profitto» .

«CI ASPETTIAMO che la presidente del Consiglio abbia un minimo di rispetto per le istituzioni e chieda le dimissioni di Daniela Santanchè», scrive la segretaria del Pd Elly Schlein su X, mentre il leader pentastellato Giuseppe Conte, che pure chiede alla ministra di lasciare il suo posto al governo, la butta sull’ironia: «Peccato che le liste europee siano ormai chiuse. Meloni non farà più in tempo a farla dimettere e a candidarla per le Europee in compagnia di Sgarbi». Il governo, dal canto suo, si chiude a riccio. Tajani: «Le opposizioni le chiedono ogni due minuti le dimissioni. C’è una richiesta, quando ci sarà una decisione poi ne parleremo. Non crea nessun imbarazzo al governo. È una questione di sensibilità personale, sarà Santanchè a decidere. Io sono garantista, come ho fatto con Decaro non vado ad accanirmi con le persone». E il resto della destra fa quadrato, non tanto intorno alla ministra, quanto a difesa dell’esecutivo, che alla vigilia del voto europeo vede deflagrare la prima vera mina giudiziaria della sua storia. Il portavoce di Santanchè, Salvatore Tramontano, nell’estrema difficoltà del momento, ha provato a rilanciare con una fake news, accusando Schlein di aver parlato di rinvio a giudizio e non di richiesta di rinvio a giudizio. Non era vero, ma tanto basta per buttarla in rissa: «Schlein chiede rispetto per le istituzioni quando è la prima a tacere e non esprimere solidarietà di fronte alle offese sessiste rivolte al presidente Meloni. Si vede che non sa proprio a cosa attaccarsi per recuperare consensi che non ha». Per il candidato leghista Roberto Vannacci, invece, del caso Santanchè non bisognerebbe discutere proprio: «Sono fatti personali», ha detto all’Adnkronos dopo essersi definito, pure lui, «un garantista».