Il cessate il fuoco nel sudest dell’Ucraina sostanzialmente tiene, anche se ci sono qua e là spari ed esplosioni. Grosso modo è così che molti media riportano la giornata di ieri. Sembra essere affidato a quel sostanzialmente il compito di dire ciò che ci si limita a pensare: a cinque giorni dalla proclamazione della tregua il dito dal grilletto non lo ha tolto nessuno, anzi.

I dirigenti della Repubblica di Donetsk ieri lo hanno detto apertamente: «Il cessate il fuoco esiste solo sul fronte diplomatico; nella vita reale le sparatorie continuano, nonostante il protocollo di Minsk». La notte scorsa era stato colpito il rione Oktjabrskij di Donetsk e, prima, sparatorie si erano verificate alla periferia ovest della città; secondo Ntv le milizie avevano respinto l’attacco, facendo anche 6 prigionieri. Colpi di obice ucraini hanno interrotto la linea ferroviaria tra le città di Avdeevka e Krasnoarmejsk. Concentramenti di truppe governative si sono registrati nei pressi di Krasnyj Luch, Mariupol e Shaste. Le milizie della Repubblica di Lugansk parlano anche di soldati e mezzi corazzati ucraini ammassati a nordovest del capoluogo e il battaglione Aydar conferma di aver minato la centrale termica che alimenta tutta l’area di Lugansk.

Nonostante tutto, il Cremlino informa che continuano le consultazioni telefoniche tra Putin e Poroshenko; mentre è previsto per le 3 di questa mattina lo scambio di prigionieri. Ma il punto sembra riguardare proprio il «protocollo di Minsk» e le (a quanto sembra) diverse interpretazioni, circa il grado di autonomia e il futuro assetto del Donbass, date dalle parti in conflitto, se non addirittura all’interno di alcune di esse. Forse non a caso, di tanto in tanto, siti nazionalisti russi (neanche tanto teneri con Putin), tornano sull’improvvisa uscita di scena, un mese fa, del ministro della difesa di Donetsk, Igor Strelkov. In ogni caso Il consigliere presidenziale ucraino Jurij Lutsenko ha dichiarato che è in atto «la preparazione militare per il rafforzamento del settore meridionale.

Abbiamo bisogno di tempo per rinvigorire l’esercito». Una posizione in contrasto con quella espressa ieri, ad esempio, da Boris Kolesnikov, del Partito delle regioni (insieme ad altri esponenti ucraini sta dando vita a un «partito della pace», in vista delle prossime elezioni alla Rada), secondo cui l’Ucraina ha bisogno di «decentralizzazione, che non è una questione del solo Donbass, ma di tutta la società. Non c’è bisogno di federalizzazione, ma di unità territoriale dell’Ucraina».

Intanto Kiev, mentre chiede all’Europa la fornitura di armi – diversi Paesi, tra cui l’Italia, si sono dichiarati disposti a concedere aiuti «militari non letali» – ha chiesto alla Ue di introdurre «senza indugio» nuove sanzioni contro la Russia, dopo che Bruxelles aveva rinviato la pubblicazione, prevista per ieri l’altro, del pacchetto di misure, ufficialmente per «dare un determinato impulso alla piena realizzazione del piano» sul cessate il fuoco in Ucraina.

Nel frattempo, se da un lato conduce consultazioni con Mosca e Croce rossa internazionale sul nuovo convoglio di aiuti umanitari al Donbass (si attende lo sminamento di di alcune direttrici), dall’altro ha vietato la trasmissione di una quindicina di canali tv russi. In risposta, il leader nazionalista russo Zhirinovskij ha inviato al premier ucraino Arsenij Yatsenjuk un pacco con giacca a vento, carbone e fiammiferi, insieme a guanti e cazzuola: i primi, in vista dell’inverno (senza gas); i secondi per la costruzione della muraglia tra Ucraina e Russia.