Dell’ottimismo mostrato dieci giorni fa al termine del vertice con il premier turco Ahmet Davutoglu, è rimasto ben poco. Già incrinato alla vigilia del terzo summit dall’inizio dell’anno dedicato alla ricerca di una soluzione alla crisi dei migranti, è sparito definitivamente ieri, quando i leader dei 28 hanno preso atto che la bozza di accordo messa a punto con Ankara per convincerla a fermare i migranti non stava in piedi. O meglio, in piedi ci starebbe pure ma violando il diritto internazionale, le norme comunitarie visto che prevedeva espulsioni in massa verso la Turchia dei migranti presenti in Grecia. Turchia che improvvisamente i 28 si sono accorti non essere proprio un paese attento e rispettoso dei diritti umani di nessuno, figuriamoci dei profughi. Quindi: contrordine compagni, si ridiscute tutto.
E soprattutto cambiano i toni, virati improvvisamente alla prudenza. Prendete ad esempio il padrone di casa di ieri e oggi, il presidente del consiglio europeo Donald Tusk. Per settimane si è speso alla ricerca di un compromesso che mettesse d’accordo tutti. Fino a ieri, quando anche lui ha dovuto arrendersi all’evidenza delle difficoltà sorte negli ultimi giorni. «Sono cautamente ottimista, ma più cauto che ottimista» ha ammesso prima dell’inizio del vertice.
La verità è che i problemi sul tappeto sono troppi: oltre alla necessità di rispettare il diritto internazionale c’è la questione economica. Ankara ha chiesto altri 3 miliardi di euro in aggiunta ai 3 già stanziati e la richiesta a Bruxelles ha fatto storcere più di un naso. Prima di decidere nuovi stanziamenti, i 28 vogliono quindi sapere da Davutoglu come sono stati spesi i primi soldi già ricevuti e solo dopo si potrà eventualmente decidere per nuovi fondi.

C’è poi il pacchetto di richieste politiche avanzate da Ankara come la liberalizzazione dei visti e l’accelerazione del processo di adesione all’Ue. E qui a frenare sono in molti: Francia, Spagna, Austria, Belgio, Gran Bretagna e Cipro primi fra tutti. «La Turchia sta chiedendo molto, non accetterò qualcosa che sembri un ricatto», ha spiegato il premier belga Charles Michel, mentre il presidente di Cipro Nicos Anastasiades ha ribadito l’intenzione di porre il veto all’adesione della Turchia all’Ue «se non rispetterà i suoi obblighi». Anastasiades parla soprattutto della questione relativa a Cipro, ma il discorso potrebbe valere anche per altre questioni come ha ricordato il presidente del parlamento europeo Martin Schulz: «La Turchia non avrà nessuno sconto sulla libertà dei media e la protezione delle minoranze, sulla separazione dei poteri e lo stato di diritto. Questi non sono negoziabili».

Tutto questo ovviamente non vuol dire che la strategia europea sui migranti è cambiata. Anzi. Bruxelles è sempre più decisa a rispedire indietro i migranti e per questo Ankara vuole mettere a punto un sistema di respingimenti con base sulle isole greche dove le domande di asilo dovrebbero essere valutate nell’arco di pochi giorni procedendo poi al ricollocamento o al rimpatrio del migrante. Un lavoro svolto con l’aiuto di personale Frontex ed Easo e finanziato con una grossa fetta dei 700 milioni di euro già stanziati da Bruxelles per i prossimi due anni. Resta da vedere in cambio di cosa. Difficile infatti che, sapendo di avere il coltello dalla parte del manico e dopo aver alzato ogni volta il prezzo della sua collaborazione, la Turchia accetti improvvisamente di farsi impartire lezioni dall’Unione europea.
Davutoglu è arrivato a Bruxelles in serata, con i 28 che dopo aver discusso di migranti per tutto il pomeriggio hanno proseguito il confronto a cena. Confronto aspro, visto che l’Unione è fortemente divisa e che i paesi dell’est sono contrari ai ricollocamenti, ma dal cui esito dipende in parte anche il successivo incontro con il premier turco.