Jamal Ali sale sul palco del Praha Rock Café poco dopo le dieci. Il locale si sta ancora affollando. Armato di chitarra elettrica osserva la strumentazione della band che salirà dopo. «Vi presento il mio gruppo», dice. «Loro sono Gli invisibili», indicando il vuoto alle spalle. Poi aggiunge: «Qui davanti a me ci sono dei fogli con i testi delle canzoni, se volete sapere di cosa canto. Vi sembra di essere tornati a scuola, vero?». Jamal Ali, frontman dei Bulistan, gruppo rock proveniente da Baku, capitale dell’Azerbaijan, si presenta come un Billy Bragg redivivo. Cantautorato punk. Non chiedetegli di Bob Dylan, però. «Non mi è mai piaciuto, non saprei perché».

Non gli ci vuole molto per trascinare il pubblico dalla sua parte. «Questa canzone è dedicata al nostro presidente. Sta in carica da un’eternità. Ha rubato tutto quel che poteva rubare e non se ne vuole andare. I suoi baffi sembrano quelli di Saddam Hussein. Forse vuole essere come lui. Ma proprio come Saddam, anche lui se ne deve andare». A metà canzone, con un ghigno, Jamal spiega che per aiutarlo il pubblico deve alzare il pugno e gridare all’unisono «Saddam! Saddam!». «Forse è che il pubblico occidentale non conosce Ilham Aliyev, il nostro presidente, tanto meglio però per la sua salute». Jamal Ali, invece, ha avuto la sfortuna di essere stato oggetto delle sue attenzioni dopo un concerto in cui il musicista, in seguito a un diverbio, invitava il presidente a rivolgere le sue attenzioni erotiche alla madre. Dieci giorni di galera e torture. «Mi picchiavano sui fianchi, con oggetti che non lasciano segni. Quando mi hanno rilasciato, ho capito che dovevo abbandonare il paese o sarebbe finita male per me».

Aliyev, autocrate succeduto al padre nel 2003, governa il paese con il pugno di ferro e ogni forma di dissenso è soffocata con la violenza e il ricatto. I video hard sono uno strumento molto utilizzato. «Aliyev sta al suo terzo mandato illegale. Ha messo le mani sul petrolio, sta scommettendo sul cavallo sbagliato e sprecando tutte le risorse. Prende tutto e non dà niente. Come si fa a non capire che è un idiota?». In occasione della festa di Novruz, Aliyev, da tradizione, ha amnistiato quindici dissidenti. «Attenzione: si tratta solo di quindici persone su un centinaio ancora detenute. Quelli che sono stati liberati sono amici del nostro ristretto cerchio di oppositori. Negli ultimi tre anni, però, nessuno dei nostri amici è stato liberato. Molti ritengono che questi gesti di apertura dipendano dalle pressioni degli Usa sul governo. Recentemente gli Stati Uniti hanno rifiutato l’ingresso di ufficiali azeri. Aliyev non vuole perdere il loro appoggio in vista dei colloqui sul nucleare».                                                                                                        

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Dovendo scegliere chi buttare dalla torre fra Aliyev ed Erdogan? «Putin! E qualcuno dovrebbe fermare Trump prima che degli stupidi americani votino per lui! Fra Erdogan e Aliyev, dopo le proteste del Gezi Park a Istanbul, penso che sia più facile buttare giù Aliyev. Dopo tutte quelle manifestazioni ero convinto fosse finita. Milioni di persone chiedono che Erdogan se ne vada e lui resta. Adesso è più stronzo di prima».

Ex Repubblica sovietica, l’Azerbaijan ha da anni un rapporto di aperta ostilità con la confinante Armenia. «Il conflitto lungo la frontiera è uno strumento nelle mani dei governi di entrambi i paesi. Utile anche per la Russia, la Turchia e l’Iran. Nessuno vuole risolvere il problema. A tutti sta benissimo una guerra congelata. E se non c’è nessun problema con gli altri paesi, allora si agita lo spettro della repubblica del Nagorno Karabakh. La stessa cosa vale per gli armeni. Il nostro governo usa il fattore del nemico esterno per controllare la gente sfruttandone il patriottismo e la paura. Tutto questo non produce altro che odio. Una guerra congelata è guerra, non pace. L’Azerbaijan è sempre stato la colonia di qualcun altro. Mongoli, turchi, persiani, russi. Solo nel 1918 Mammad Amin Rasulzade ha dato vita alla prima repubblica indipendente dell’Azerbaijan, sopravvissuta per soli 22 mesi. Poi abbiamo fatto parte dell’Unione Sovietica e nel 1992 siamo diventati indipendenti. La mentalità dell’obbedienza è sempre al suo posto però».

Duro essere un oppositore in queste condizioni. «Tutti, anche la famiglia, ti chiedono di mettere la testa a posto. Di essere ragionevole, tanto non cambia mai niente. Qualcosa, però, sta cambiando. La gente si rende conto che la tv mente e che i cosiddetti banditi dell’opposizione, come ci definiscono, hanno ragione. Erano tutti orgogliosi delle Olimpiadi a Baku costate ben otto miliardi ma poi si sono arrabbiati quando ci sono stati i tagli ai salari. Da allora hanno svalutato la moneta azera ben due volte. Adesso vale la metà del suo valore prima dei giochi. Che giochi, eh? Ora la gente è davvero arrabbiata. La disoccupazione è altissima. La gente si inventa il lavoro. Guidano taxi, aprono piccoli chioschi, senza contare ogni tipo di attività illegale. Quasi tutto è illegale nel mio paese. Quelli che hanno un lavoro, dottori, professori, poliziotti, chiedono tutti tangenti. Gli insegnanti agli studenti, i dottori ai pazienti e i poliziotti sono i peggiori. Se non paghi non hai nessuna possibilità. Non c’è via di fuga a meno che non scappi letteralmente dal paese».

Jamal Ali dal vivo non risparmia frecciate ai musulmani integralisti e una delle sue canzoni più divertenti prende di mira il mito delle vergini che attenderebbero i martiri in paradiso. A fine canzone allarga le braccia e sardonicamente dichiara: «Se qualche vero credente pensa che io sia blasfemo, sono qui…». E poi: «Grazie Maometto, per queste meravigliose parole scritte secoli fa!». Già perché la canzone in questione rielabora i versi del profeta. «Siamo musulmani da dodici secoli», spiega. «L’Islam gioca un ruolo importante nel modo in cui la gente si rapporta alla vita, al passato e al futuro. Funziona anche come antidolorifico per le difficoltà che affrontano. Credono che Dio invii loro i giorni buoni e quelli cattivi per mettere alla prova la loro fede. In questo modo demandano ad Allah tutto quello che non funziona nella loro vita. Però bevono vodka, hanno relazioni extraconiugali e mille altre cose che sono proibite dalla religione. Sono musulmani solo quando gli fa comodo. Invece i giovani stanno prendendo la religione un po’ troppo seriamente, anche perché non hanno nient’altro cui aggrapparsi. So che potrebbe accadere che qualcuno mi prenda di mira. Sono dei pazzi, ma lo sono anche io. Ritengono che Allah conferisca loro il diritto di fare qualsiasi cosa ma non hanno alcuna idea di quel che sta scritto in quel libro. Io l’ho studiato per anni. Posso discutere alla pari con qualsiasi musulmano. Il Corano stesso mi conferisce il diritto di essere ciò che sono. Ma se mi sparano alle spalle mentre cammino per strada, non posso farci niente. Non voglio ferire i loro sentimenti, solo offrire un’altra prospettiva. Ammiro davvero la poesia di Maometto e quando lo ringrazio sono sincero».

Difficile credere che il primo disco comprato da Jamal Ali siano stati i Bomfunk MC’s, «Avevo tredici anni ed ero fissato con la break dance. Mio padre voleva che suonassi il Tar, strumento tradizionale azero, ma io mi sono comprato una chitarra appena diciottenne anche se facevo hip hop con i miei amici, gli Host, una delle band più amate all’epoca: ancora oggi mi ricordano come un ex Host. Nella musica mi piace la gente che fa le cose a modo suo. Non ho nessun modello, ma se proprio ne devo indicare uno, non ho dubbi: James Brown. Mi piace la gente pazza che riflette sulla società in cui vive e che rappresenta una resistenza culturale e politica. Nina Simone, Tupac, Sex Pistols, Bob Marley. Da bambino volevo essere Little Richard: Tutti Frutti mi faceva impazzire. C’è una band turca che dal vivo è inarrestabile, i Babazula. La mia canzone preferita, però, è Shine On You Crazy Diamond, musica davvero cosmica». Woody Guthrie diceva che la sua chitarra ammazzava i fascisti. Jamal Ali ghigna: «La mia chitarra è un AK 47!».