È uscito nel luglio scorso senza sollevare troppo clamore il Dizionario del jazz italiano (Feltrinelli; pp.380 euro 16) di Flavio Caprera, giornalista e scrittore trentottenne, che ha già pubblicato nel 2006 Jazz Music, duecento schede sui protagonisti della musica afroamericana (italiani compresi), e nel 2009 Jazz 101. La storia del jazz in 101 dischi (entrambi per A.Mondadori).

Evidenti sono nell’autore l’approccio divulgativo e classificatorio, l’intento di fornire strumenti di consultazione e orientamento in un mondo sonoro complesso ormai centenario. Il Dizionario del jazz italiano, con le sue centinaia di schede, va salutato con riconoscenza perché nulla di simile è disponibile: bisogna rimontare all’introvabile Storia del jazz moderno italiano – I musicisti di Arrigo Zoli (AZI ed., anni ’80) o al volume di Roberto Franchina Nuovo Jazz Italiano (1998; Castelvecchi). L’opera di Caprera è strutturata alfabeticamente e comprende, per esemplificare, 182 voci (individuali o di gruppi) per le lettere A-B-C, corrispondenti a 110 pagine.

C’è un’introduzione dove, in estrema sintesi, si parla di motivazioni e criteri del dizionario che «ha carattere divulgativo, non ha la pretesa di fare una storia del jazz italiano, ma di tracciare una panoramica sui protagonisti degli ultimi anni senza dimenticare alcuni pionieri del passato (…) viene riservato molto spazio alle giovani leve» (p.9). Era, però, necessario che il processo di crescita del jazz italiano venisse spiegato in modo meno telegrafico, magari facendo riferimento a saggi di Claudio Sessa e Vincenzo Martorella che ben inquadrano il fenomeno. Poco esplicitati, inoltre, i criteri: il Dizionario «cerca di rappresentare, attraverso i suoi protagonisti, le diverse aree geografiche, le loro caratteristiche intrinseche e il tipo di jazz suonato» (pp. 9-10), La «scelta dei musicisti è opinabile e discutibile (…) molti interpreti non figurano» e ci si scusa in anticipo. Qui siamo in un campo davvero minato perché enorme è il numero dei jazzisti italiani in attività.

Voglio ancora sottolineare il coraggio e la sostanziale riuscita dell’opera ma alcune mancanze si riscontrano. A fronte della presenza di svariati giovani musicisti trascurabili, mancano artisti di rilievo come la vocalist Marta Raviglia, il sassofonista Dimitri Grechi Espinoza, il polistrumentista Marco Colonna.

Nel tracciato dei «pionieri del passato» non c’è Gerardo Iacoucci e l’area romana è mal rappresentata scontando le assenze di Paolo Tombolesi, Giuppi Paone, Mauro Verrone, Ivano Nardi, Tony Formichella; altre assenze «ingiustificate» Enzo Nini e Francesco Lo Cascio. Rispetto alla fatica della raccolta dei dati, alla stesura delle innumerevoli voci può sembrare irrispettoso indicare mancanze: la soluzione costruttiva per quest’opera pregevole potrebbe essere un sito collegato per le necessarie integrazioni, al di là della inevitabile rigidità di un testo cartaceo.

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