Da sempre la letteratura si è interessata agli animali. Da Zanna bianca di Jack London ai Libri della giungla di Dickens a Moby Dick di Melville, sono tante le storie abitate da tali creature. E se si torna ancora più indietro nel tempo, gli esempi si infittiscono. Basti pensare alle favole di Fedro ed Esopo o a brani estremamente coinvolgenti come quello che in pochi tratti riesce ad esprimere compiutamente il rapporto che lega Ulisse al suo cane, Argo, nel momento del ritorno dell’eroe ad Itaca. Ma qual è oggi il rapporto che unisce o separa, e in che modo, gli uomini e gli altri esseri viventi che abitano la Terra? Quali forme ha assunto in un momento in cui il non-umano o il troppo-umano non è più incarnato nell’immaginario collettivo nell’animale, ma piuttosto in creature quali il robot, l’androide, il cyborg, il mutante?

Forse segnali, tracce di risposta possono essere ritrovate in un testo che miri innanzi tutto a raccontare storie, facendo emergere tutto il piacere della narrazione. In una scrittura a prima vista semplice e comprensibile, scorrevole come il racconto orale, che parli dell’argomento – gli animali – in maniera vera, reale, legandolo indissolubilmente alla vita concreta. E che sia, allo stesso tempo, letterariamente raffinata, metta in scena la completa padronanza dell’autore nel maneggiare figure retoriche quali l’anafora, nel costruire frasi lunghe, molto lunghe, complesse e assolutamente chiare, non solo pienamente comprensibili ma totalmente godibili nella loro musicalità. Un testo, poi, coinvolgente e divertente, spesso esilarante, e che sia in grado di dare conto del rapporto sfaccettato che lega l’autore – e spesso il lettore – con alcune specie di animali.

Ed è proprio questo che avviene leggendo l’ultimo libro di Ugo Cornia, intitolato – ça va sans direAnimali (topi gatti cani e mia sorella), uscito di recente per Feltrinelli (pp. 112, euro 12). Il testo è strutturato in tre parti, ognuna dedicata a una delle specie animali nominate nel sottotitolo. Si parte dai topi per poi passare ai gatti e concludere con i cani.

Come al solito la narrazione di Cornia si basa su ricordi personali, in questo caso spesso legati alla sua casa di famiglia in campagna, a Guzzano. Memorie che vanno dalla sua infanzia fino a tempi più recenti. E che spesso fungono da spunto per i tipici «ragionamenti» dell’autore. Così a proposito dei topi: «come mai i topi nessuno ha mai cercato di addomesticarli, mentre i cani e i gatti sì? E indubbiamente i topi ci assomigliano di più sia dei gatti che dei cani. Perché è già da varie migliaia di anni che, anche se nessuno li ha mai cercati, i topi abitano con noi». E ancora: «e come dicevamo l’uomo ha addomesticato i cani e i gatti, e non ha mai addomesticato i topi, nonostante i topi abbiano anche le mani, e smaneggino come noi, (…) mentre né gatto né cane sono in grado di maneggiare niente». E per quanto riguarda i gatti: «posso ridire tranquillamente che avere un gatto in casa è veramente un grande piacere e guardare i suoi continui numeri da circo e ammirarne lo stile di vita, cercando anche di impararci qualcosa, è una cosa bellisima». Sui cani poi: «il cane è un animale la cui immagine è per metà una bella immagine, di cane compagno e salvatore; ma l’altra metà, almeno per me, è un’immagine decisamente sputtanata, proprio di un animale microcefalo e maniaco, orrendo servo della merda più merda che sia mai comparsa sulla faccia della terra (merda umana, ovviamente) (…) neanche l’animale fascista per eccellenza, quanto piuttosto l’animale servo del fascista per eccellenza».

Così, attraverso il racconto di invasioni di ratti (mitica quella del 1992), o ragionando su di un topo abitudinario che sembra osservare e studiare gli umani, oppure seguendo le avventure di gatti come Cionci o la Pinzia e di cani come Billo e Tobi le, le interazioni tra mondo animale e persone vengono fuori con forza e con tutto il loro carico di imprevedibilità, simpatie e antipatie reciproche, gioia e divertimento, ma anche sofferenza e morte.