Pubblicando in Italia Gli ammutinati di Calcutta (pp. 288, euro 15), la casa editrice Metropoli d’Asia compie sia una scelta coraggiosa sia un atto d’amore profondo verso l’ambiente culturale vibrante dell’India contemporanea. Lo fa con cognizione di causa, affidando la traduzione del romanzo di Nabarun Bhattacharya alla cura puntuale di Carola Erika Lorea che, senza passare dalla terra di mezzo di una resa in inglese dell’opera traduce direttamente dal bengali. Una premura rara nel mercato editoriale contemporaneo ma obbligatoria, nell’opera di Bhattacharya, per provare a rendere i molteplici livelli semantici e allegorici che l’autore anarchico, idolo delle controculture calcuttine, impiega nella sua personale battaglia contro l’establishment politico e culturale asfittico della capitale del Bengala occidentale.

Il romanzo mette in scena una sconclusionata rivoluzione dal basso nella Calcutta di fine XX secolo architettata da un branco di antieroi alcolisti, deprecabili e sovrannaturali: i «choktar», una setta magica di pseudostregoni, e i «fyataru», uomini volanti ricorrenti nelle opere di Bhattacharya. I due gruppi, inizialmente in lotta tra loro, si uniscono con l’obiettivo di insorgere contro le autorità di Calcutta, procedendo nella definizione e nell’esecuzione di un piano assolutamente improbabile e utopistico: «accoppare» la classe dirigente calcuttina.

La preparazione del conflitto – che si dipana con la compartecipazione di fantasmi degli inglesi coloniali, misteriosi dischi volanti, decapitazioni non mortali e apparizioni di leader del comunismo sovietico, il tutto annaffiato da litri e litri di alcol di contrabbando – per Bhattacharya è l’espediente narrativo da inframezzare con stilettate raffinatissime e impietose contro i simboli dello stato e dello status symbol calcuttino: la polizia corrotta che malmena i poveracci e uccide i naxaliti; gli imprenditori che «fottono» il sottoproletariato bengalese; l’establishment culturale della Calcutta bene che gravita attorno all’istituzione editoriale dell’Anandabazar Patrika; la politica degenerata e imborghesita del Partito comunista indiano (marxista).

La Calcutta imbellettata, intellettuale e compìta diventa il bersaglio di una banda di disperati tragicomici senza cultura, senza educazione, volgari come il registro «di strada» usato da Bhattacharya (in realtà intellettuale colto ed enciclopedico, come lascia intendere in numerose citazioni «alte» a fine e inizio di ogni capitolo). Gli ammutinati di Calcutta rappresenta l’impossibile rivincita di una metropoli popolare e marginalizzata e lo fa senza quella patina di compatimento e dei «poveri ma felici» tipica di gran parte della produzione letteraria indiana. Finalmente, col realismo magico di Bhattacharya, anche in Italia è arrivata una Calcutta diversa dallo stereotipo della «Città della gioia» e delle missionarie di madre Teresa: la città è sbronza, furiosa, strafottente e sboccata. Proprio come Calcutta.