Domenica 11 è mancato, all’ospedale di Asti Paolo De Benedetti: il 23 dicembre avrebbe compiuto 89 anni.
De Benedetti è stato un grande dell’editoria italiana: cominciò alla Bompiani, ai tempi del Dizionario delle opere e dei personaggi, e, negli anni del Concilio, sempre in Bompiani ideò e diresse la Collana di Studi Religiosi, pubblicando in prima traduzione italiana le Lettere dal carcere e l’Etica di Dietrich Bonhoeffer, l’ultimo libro di Karl Barth, Introduzione alla teologia evangelica, e altri testi fondamentali della miglior teologia novecentesca.
Curò anche numeri del glorioso Almanacco. Era la Bompiani di Valentino, naturalmente, ma anche di Eco, Franco Quadri, Paci, Giampaolo Dossena…
Dalla Bompiani passò poi in Garzanti, dove, fra gli altri, erano presenti, a vario titolo, Geymonat e Andrea Bonomi, Piero Gelli e Giovanni Raboni, Attilio Bertolucci e Gianni Vattimo, Furio Jesi e Giorgio Cusatelli… Qui fu tra i direttori dell’Enciclopedia europea, e coordinatore dell’ultimo volume, una borgesiana Bibliografia universale, dove si fecero le ossa molti giovani destinati poi a ricoprire importanti ruoli nell’editoria o nella cultura italiane, da Antonella Tarpino ad Aurelio Mottola ad Alessandro Baricco.

Contemporaneamente, insieme con Giampaolo Dossena e Mario Spagnol, sotto lo pseudonimo collettivo «I Wutki», De Benedetti collaborava a Linus: i Wutki erano inesausti creatori di nonsense e organizzavano concorsi tra i lettori della mitica rivista, allora diretta da Oreste Del Buono per la Milano Libri dei Gandini.

Il nonsense, su cui De Benedetti pubblicò un fondamentale saggio in un Almanacco Bompiani, rispondeva anche a un suo modo profondo e sorridente di stabilire nessi impensabili e di creare logiche apparentemente anomale ma preziose per comprendere più a fondo la realtà, sia la più evidente sia la più nascosta. Ma PDB, come veniva chiamato nell’ambiente editoriale, così come Del Buono era OdB, era anche infaticabile scopritore e suggeritore di titoli, specie di cultura ebraica.

Perché De Benedetti, di madre cristiana e padre ebreo, è stato anche un teologo che ha edificato ponti tra ebraismo e cristianesimo, riscoprendo, fuori da tutti gli schemi, il giudeo-cristianesimo, praticando così e favorendo una lettura eccentrica e vivificante della tradizione religiosa.
Fu per decenni presidente e anima culturale di Biblia, Associazione laica di cultura biblica; e della Bibbia fu lettore sensibile e originale con traduzioni insolite e spiazzanti, sempre aperte a un senso ulteriore: la tradizione rabbinica parla di settanta possibili sensi del testo sacro, De Benedetti diceva che ce n’è sempre un settantunesimo, perché ogni uomo ha il suo da scoprire e impedirglielo è un impoverimento di tutti, per questo con la morte di un singolo muore un mondo.

Collaborò con le edizioni Paoline e col cardinale Martini, insegnò alla Facoltà teologica di Milano e alle università di Urbino e Trento. Si considerava pigro, era tutto un levare, come si diceva nei vecchi manuali di solfeggio, ma per costruire.
La sua bibliografia, Fare libri, curata da Agnese Cini, edita da Morcelliana, presso cui De Benedetti ha pubblicato quasi tutti i suoi libri, è un volume di quasi trecento pagine.

Negli ultimi anni aveva sviluppato una personalissima «teologia degli animali» (così anche il titolo di un suo scritto) e delle cose minime: citava spesso la splendida novella di Pirandello, Canta l’epistola.
Credeva che, al momento di lasciare la vita, quel Dio con cui lui pensava si potesse discutere, interloquire e magari litigare, gli si sarebbe presentato come un grande cane bianco e gli avrebbe leccato il naso.