Si alza il sipario e il primo colpo di scena arriva subito. Bisogna votare la proposta Calderoli che chiede di non passare al voto degli articoli del ddl Cirinnà e di riportare il testo in aula. Ci sono 76 firme in calce alla proposta e alla richiesta di votarla in segreto. La scelta sta al presidente del Senato Piero Grasso. I bookmaker ritengono che concederà la segretezza oppure che delegherà la decisione alla giunta per il regolamento. In questo caso la giunta boccerebbe il voto segreto, ma in modo tale da non costituire un precedente per le prossime richieste di voti nell’ombra. Che sono tante: Fi ne vuole 50, altrettanti la Lega, 25 Ncd.

A sorpresa Grasso non solo esclude la votazione al buio ma giustifica la decisione con una dotta dissertazione in punta di Costituzione che di fatto annuncia la bocciatura di quasi tutti i futuri voti segreti. Il secondo cittadino dello Stato si affida infatti all’art. 2 della Costituzione, che disciplina le relazioni nelle formazioni sociali incluse le relazioni non matrimoniali e che ha preminenza sull’art. 29, quello che riconosce i diritti della famiglia fondata sul matrimonio. I voti segreti sui passaggi più delicati, in particolare sulla stepchild adoption, resteranno, ma non saranno tanti da costituire una minaccia permanente d’imboscata.

A voto palese, la proposta viene respinta con 195 no contro 101 sì. Si schierano con Calderoli i senatori Ncd, per quanto bizzarro sia una forza di maggioranza che quasi vota contro un’intera legge sponsorizzata dal governo. Ma ormai la competizione è per aggiudicarsi i voti della parte più chiusa dell’elettorato, cattolico e non, e il partitino di Alfano non può lasciare al Carroccio il monopolio dell’opposizione dura al ddl Cirinnà. Subito dopo il voto, la conferenza dei capigruppo decide di fissare le altre votazioni per la settimana prossima, da martedì a giovedì, per poi proseguire, se del caso, la settimana successiva.

La pausa offrirà qualche chance in più di raggiungere un accordo tale da evitare che il voto si risolva in un match tra canguri coi guantoni. Al momento, però, l’intesa sembra lontanissima. Il Carroccio aveva annunciato il ritiro di 4.500 emendamenti, come promesso, segnalando però l’intenzione di mantenere quelli “premissivi”, che comportano l’automatico decadimento di intere parti della legge: una specie di anticanguro. La contromossa del Pd è mantenere sia l’emendamento Puppato, un cangurino, che quello Marcucci, un cangurone che spazzerebbe via l’intera discussione.
E’ una scelta che tuttavia non si può fare a cuor leggero. Così com’è la legge presenta falle segnalate con la dovuta insistenza anche dal capo dello Stato. Per esempio, dopo il varo del ddl le coppie omosessuali e quelle regolarmente sposate potrebbero adottare il figlio di uno dei partner e godere della reversibilità della pensione, i conviventi eterosessuali invece no, il che farebbe a pugni, oltre che con i sentimenti antidiscriminatori, anche con le sentenze della Corte europea di Strasburgo e con la Carta. Un pasticcio. Nei prossimi giorni il Pd cercherà di mettere a punto un nuovo testo per turare le voragini, ma non è facile che ci riesca in pieno. A quel punto la legge dovrebbe essere modificata alla Camera e poi tornare al Senato: una via crucis che è il contrario di ciò che vuole Renzi.

Il passaggio al pugilato tra canguri e anticanguri avrebbe però altre ricadute. Per Sel, per esempio, votare un emendamento canguro, dopo aver bersagliato l’indecente pratica in questione a suo tempo, non sarebbe certo una scelta facile. Ma i guai peggiori si creerebbero con i dem contrari alla legge, o ad alcuni passaggi centrali.

Ieri la riunione del gruppo Pd, prima dell’inizio delle votazioni, è stata tesa. Il capogruppo Zanda decide di lasciare libertà di coscienza su tre emendamenti, uno solo dei quali catto-dem: il passaggio dalla stepchild adoption all’affido rafforzato. La minoranza insorge rumorosamente, minaccia di non partecipare alla seduta. Lepri chiede che la coscienza sia libera in 9 casi. Zanda media chiedendo di avanzare proposta formale. Sullo sfondo campeggia l’offensiva contro l’utero in affitto promessa da Renzi, e che dovrebbe essere immediatamente sostanziata da apposite leggi. Ma la tensione appena stemperata s’impennerebbe di nuovo se i catto-dem perdessero la possibilità di dare battaglia sui loro emendamenti.

Proprio su questo conta Calderoli, che progetta di mostrarsi disponibile alle mediazioni, ma solo per finta, e intende invece tenere duro. Il perché lo confessa apertamente: «Col canguro Marcucci, non saranno in grado di gestire l’aula».