Abbiamo conosciuto il nome di Valeria Sarmiento prima di quello di Raul Ruiz. I film dell’esilio del grande regista cileno scomparso nel 2004 arrivarono nei nostri cineclub alla fine degli anni ’70 mentre nello scarno firmamento delle cineaste dei primi anni ’70 facevano scoprire tematiche femministe assai avanzate quelli della moglie e collaboratrice della sua intera carriera, montatrice che ha donato il respiro ai suoi film.

Erano un collettivo le cineaste cilene: Sarmiento, Marilù Mallet, Angelina Vasquez, in un paese tra i più avanzati dove il cinema di Unidad Popular sosteneva la politica di Allende, frequentato dagli intellettuali di tutto il mondo, da Rossellini a Ivens (che apprezzò i suoi documentari sulla condizione femminile).

Valeria Sarmiento è stata in questi giorni a Palermo dove dal 16 dicembre si è tenuta la manifestazione «Raul Ruiz in Sicilia» organizzata dall’Accademia degli Offuscati con un vasto programma di film e incontri. In Sicilia Raul Ruiz aveva realizzato parecchi progetti teatrali e girato nel 1993 Il viaggio clandestino – Vite di santi e di peccatori, da La vita è sogno di Calderon de la Barca

Oggi che in Cile il cinema ha ripreso un grande vigore soprattutto con i film di Pablo Larrain ci sono anche novità rispetto alle cineaste e alle tematiche femministe?

Sì, ci sono nomi come Alicia Scherson o Pepa San Martin che ha realizzato il suo primo film e parecchie altre, ma sono sempre un numero ristretto, un 25 per cento.

Che impressione ha avuto al suo ritorno in Cile ora che è diventato la «pantera» del latinoamerica?

È sicuramente un paese che ha successo in ambito economico, ma solo da pochi anni ha una legge sul divorzio e ancora adesso si discute sulla possibilità di permettere l’aborto alle donne, non esiste una legge a riguardo. Si è cercato di cambiare le cose, ma è assai difficile.

Oggi in Italia uno dei temi più gravi è la violenza sulle donne, centinaia di donne uccise dagli ex. Succede in modo così grave anche fuori dall’Italia?

La mia personale opinione è che quando gli uomini stanno per perdere il potere perdono la testa, impazziscono.

La Bachelet ha portato il paese in una posizione di avanguardia ed ha cercato di risolvere parecchie diseguaglianze sociali.

Ma non basta, ci sono molte cose da fare, sull’educazione, sulla differenza di classe. La cosa più interessante degli ultimi anni riguardo al cinema è che c’è un aiuto da parte dello stato e questo ha fatto sì che il cinema abbia cominciato a prodursi in Cile. Ma è comunque poco, l’aiuto ricevuto non permette la realizzazione completa, si concede una parte e poi il regista deve ingegnarsi a cercare sovvenzioni da ogni parte.

Lei adesso lavora la maggior parte del tempo in Cile?

Sia in Europa, che in Cile. Vivo a Parigi, ora sto preparando un progetto, ma sono stata sette mesi in Cile recentemente per la televisione

Ho letto di questa serie televisiva che si intitola «Casa di Angeli». Sembrerebbe qualcosa che ha a che fare con l’Italia

Sì è una storia di un padre arrivato in Cile, che ha due figlie ed è la storia del periodo in cui le donne hanno potuto votare per la prima volta, il 1949. Si veniva da un periodo di grande persecuzione politica, quindi ci sono un po’ di parallelismi con la situazione attuale. Sono dieci episodi di cinquanta minuti, prodotti dalla televisione nazionale, dal Consiglio nazionale della televisione e una casa di produzione privata. Devi dire che la cosa che più mi piace in Cile sono gli attori, hanno una grande tradizione teatrale. E sono altruisti

Un termine che non si associa spesso agli attori.

Sì, altruisti perché lavorano durante il giorno in televisione per guadagnare e la sera fanno teatro. Sono persone che amano veramente il loro lavoro.

L’ultima volta che abbiamo sentito Raul Ruiz ci raccontava del lavoro che stavate facendo insieme in Cile nella serie «La recta provincia» che si inoltra nei più sconosciuti meandri dei racconti popolari cileni (film che tra l’altro non è mai stato distribuito in Italia).

«La recta provincia» ha avuto bisogno di restauro, era stato girato in qualità non troppo alta. Da quattro episodi Raul voleva fare un lungometraggio perché in questo modo sarebbe stato più facile distribuirlo e il ministero della cultura cilena ha dato i finanziamenti per portare a termine il progetto. Abbiamo rifatto il mixage, una nuova correzione del colore, i sottotitoli in francese e in inglese, è stato fatto vedere alla retrospettiva della Cinémathèque française ad aprile in occasione della quale abbiamo restaurato diciotto suoi film e è appena stato proiettato al Lincoln Center a New York a dicembre.

Quando abbiamo sentito Raul Ruiz era in Portogallo nelle prime fasi di preparazione di un film che sarebbe poi stato «Linhas de Wellington».

Era da quindici giorni a Lisbona, era in uno stato di grande fragilità, aveva appena subito un’operazione di trapianto di fegato. Aveva dato alcune indicazioni allo sceneggiatore Carlos Saboga, è tornato a Parigi ed è morto. Allora Paulo Branco che lo produceva mi ha chiesto di realizzare il film. Raul aveva chiesto tre cose a Saboga: c’era un bambino che moriva nella sceneggiatura e lui gli ha detto: non voglio che muoia, devi farlo resuscitare. Poi che l’intellettuale del film, un personaggio che legge sempre anche durante la guerra, leggesse il Timeo di Platone, perché Raul pensava che in Platone ci fossero riflessioni sul cinema

Sì, il mito della caverna.

Esattamente, E la terza cosa era che il musicista Jorge Arriagada si ispirasse al Berlioz «Harold en Italie». Queste tre cose che Raul aveva chiesto in fase di preparazione sono state rispettate, ma naturalmente è stato fatto un «altro» film. Lui probabilmente avrebbe fatto un film più lungo, non so, io ho fatto quello che ho potuto fare.

Nel film si parla della fallita conquista del Portogallo da parte di Napoleone, è un film d’attualità, oggi che non si parla d’altro che di guerra.

Sì, della guerra e le conseguenze che la guerra ha sulla popolazione civile. Ho cercato di legarmi a questo tema perché erano persone che dovevano abbandonare tutto. Quindi per fare il film che parlava di guerre napoleoniche, qualcosa di molto lontano da me, ho pensato alla guerra in Cile, all’esilio che abbiamo vissuto.

Cosa pensa della manifestazione che hanno dedicato a Palermo a Raul Ruiz?

È una manifestazione molto, molto, commovente, sono emersi episodi raccontati da persone che hanno avuto rapporti molto belli con Raul. Ha lasciato una incredibile quantità di ricordi in Sicilia. Ogni giorno, ogni momento è stata un’emozione nuova, impressionante. Ho sentito racconti magnifici.

Non mancherà di lasciare anche un’influenza sul nuovo cinema cileno, anche a Santiago c’era stata una grande retrospettiva.

Sì, questa influenza è sicura, e continua il restauro dei suoi film, ne ha fatti più di 120. Per ora il conto esatto è 120, ma sono sicura che troveremo ancora film che doveva terminare, materiali sparsi, il conto aumenterà.