Si sarebbe potuto fare di più. Ad esempio si sarebbe potuto mettere mano a leggi come quella sulle droghe che, nonostante l’intervento della Consulta, ancora contribuisce a riempire in maniera spesso ingiusta le carceri italiane. La trasformazione in legge del decreto carceri, avvenuta ieri da parte del Senato, rappresenta comunque un passo in avanti nel tentativo di diminuire il sovraffollamento che affligge decine di migliaia di detenuti costretti oggi a convivenze forzate in celle troppo piccole per un Paese civile.
Un passo compiuto nella direzione richiesta dalla Corte europea dei diritti dell’uomo quando, l’8 gennaio 2013, con la cosiddetta sentenza Torregiani condannò l’Italia per le condizioni di degrado dei suoi 204 istituti penitenziari. «Quella sentenza non è la causa, ma la conseguenza di una dinamica che ci ha portato a sfiorare i 70 mila detenuti tra il 2011 e il 2012 e ad avere tra i tassi di recidiva più alti», ha detto ieri il ministro della Giustizia Andrea Orlando introducendo a Palazzo Madama la discussione sul decreto, prima che il ministro Boschi annunciasse l’intenzione del governo di porre la fiducia sul provvedimento nella versione licenziata dalla Camera il 24 luglio scorso. Provvedimento che alla fine passa con 162 voti favorevoli e 39 contrari. Protesta il M5S, che avrebbe preferito la costruzione di nuove carceri e adesso parla di «indulto mascherato», mentre la Lega espone uno striscione da campagna elettorale con la scritta: «Renzi sta dalla parte dei criminali».
Si calcola che a oggi siano almeno 5 mila i detenuti in più rispetto ai posti disponibili (ma fino a cinque mesi fa erano 12 mila). Un numero che in futuro potrebbe scendere ulteriormente grazie alle misure contenute nella nuova legge. Ma vediamo di che cosa si tratta.
Per chi non si trova più in prigione, la legge prevede uno risarcimento di 8 euro per ogni giorno trascorso in condizioni inumane. Le richieste vanno presentate entro sei mesi dalla scarcerazione, e per i risarcimenti sono disponibili 20,3 milioni di euro fino al 2016. Per tutti gli altri è invece previsto uno sconto di pena di un giorno ogni dieci.
E’ stabilito inoltre il divieto di custodia cautelare in carcere in caso di pena non superiore ai 3 anni (sono esclusi i delitti ad elevata pericolosità sociale, tra cui mafia e terrorismo, rapina ed estorsione, furto in abitazione, stalking e maltrattamenti in famiglia) ma la misura non è applicabile in mancanza di un luogo idoneo per i domiciliari. Salvo esigenze processuali, il detenuto può recarsi ai domiciliari senza l’ausilio della scorta. Viene ribadito invece il divieto assoluto (norma già esistente) del carcere preventivo e dei domiciliari nei processi destinati a chiudersi con la sospensione condizionale della pena.
Le norme di favore previste dal diritto minorile sui provvedimenti restrittivi si estendono a chi non ha ancora 25 anni (anziché 21 come oggi). In sostanza, se un ragazzo deve espiare la pena dopo aver compiuto i 18 anni ma per un reato commesso da minorenne, l’esecuzione di pene detentive e alternative o misure cautelari sarà disciplinata dal procedimento minorile e affidata al personale dei servizi minorili fino ai 25 anni. Sempre che il giudice, pur tenendo conto delle finalità rieducative, non lo ritenga socialmente pericoloso. Infine è previsto un aumento del numero dei magistrati di sorveglianza e degli agenti penitenziari (che aumenteranno di 204 unità).
«Non si tratta né di un indulto, né di un’amnistia strisciante, nessuno si è visto cancellare la propria pena», ha tenuto a sottolineare il ministro Orlando rispondendo così a quanto hanno criticato il provvedimento. Partendo proprio dalla norma che prevede un risarcimento in denaro. A quest’ultima opposizione ha risposto il presidente dell’associazione Antigone Patrizio Gonnella: «Quando lo Stato viola la dignità umana di qualunque persona, è legittimo che debba essere risarcita», ha detto Gonnella che ha sottolineato come, per quanto importante, il provvedimento approvato ieri rischi di non essere sufficiente. «La stagione delle riforme ora non si deve chiudere. Basta poco perché si torni a una situazione grave ce metta a rischio i diritti dei detenuti».