Martedì la polizia ha represso le attiviste che stavano manifestando davanti all’ufficio delle Nazioni unite – nel quartiere alla moda di Maadi, al Cairo – per denunciare gli stupri di donne palestinesi e sudanesi. Più di una dozzina sono state arrestate, tra cui giornaliste di spicco, femministe e anche passanti – poi rilasciate il giorno dopo dietro pagamento di una cauzione. In precedenza, gli studenti dell’American University del Cairo hanno organizzato azioni dirette nei loro campus, per chiedere all’amministrazione di interrompere i rapporti con le società Hp e Axa, accusate dal movimento Bds di complicità in genocidio. Il personale di sicurezza dell’università ha aggredito gli studenti, i membri della facoltà sono stati minacciati di licenziamento e una campagna di intimidazione contro gli organizzatori studenteschi è in pieno corso. Nel frattempo, i tifosi dell’Al-Ahly, la squadra di calcio più popolare del Cairo, si sono rivolti ai social media per denunciare il patrocinio del loro club da parte di Coca-Cola e altre aziende presenti nell’elenco dei boicottaggi. Tra gli sponsor del club c’è anche Ibrahim el-Orjani, un criminale diventato imprenditore che collabora con l’esercito a una varietà di progetti e gestisce la Hala Travel, un’azienda che estorce denaro ai gazawi disperati che cercano di lasciare l’enclave assediata e entrare in Egitto.

MENTRE scriviamo, 53 tribù locali del Sinai sono di fronte a un tribunale militare per aver organizzato proteste pacifiche lo scorso ottobre per chiedere il diritto di tornare nei loro centri abitati di Rafah e Sheikh Zuwayed, che sono stati demoliti dall’esercito egiziano durante le operazioni di controinsurrezione. Su un altro fronte, la polizia segreta dell’Egitto, la temuta Homeland Security, continua a effettuare arresti arbitrari e a fabbricare accuse di terrorismo contro i cittadini del Cairo e delle province. Tali repressioni sono in linea con la strategia dello stato egiziano di esercitare deliberatamente una violenza casuale, e di affermare la ragion d’essere della Homeland Security.
Questa recente ondata di repressioni riflette la crescente sfrontatezza del regime, forte del sostegno internazionale proveniente dall’Europa e da altrove.

IL DITTATORE militare egiziano Abdel Fattah al-Sisi è salito al potere un decennio fa, dopo aver guidato un colpo di stato contro il primo presidente eletto del Paese nel luglio 2013. Giurando di pacificare la rivoluzione del 2011, ha represso le proteste di piazza e smantellato tutti i gruppi di opposizione, le organizzazioni giovanili e i sindacati indipendenti nel nome della lotta al terrorismo. Oggi governa l’Egitto senza concorrenti e ha autorizzato l’esercito a controllare la macchina statale e sostenere un impero commerciale.
Il consolidamento del potere di al-Sisi è stata per lo più resa possibile da potenze regionali e internazionali, piuttosto che da una popolarità interna, di cui ha goduto solo brevemente. Gli stati del Golfo arabo, temendo l’effetto domino delle rivoluzioni nella regione, si sono affrettati a fornire sostegno finanziario e diplomatico al nuovo autocrate del Cairo. Europa e Stati uniti, nonostante qualche flebile critica sui diritti umani, si sono uniti al carrozzone, riproponendo le stesse vecchie dottrine che hanno visto i leader del “mondo libero” lavorare a braccetto con alcune delle peggiori autocrazie del sud globale, con il pretesto della lotta al terrorismo e della guerra contro le “migrazioni illegali”. Alla fine del 2023, il debito estero dell’Egitto era già salito a oltre 168 miliardi di dollari, un livello mai raggiunto nella storia del Paese. Invece di affrontare le radici della crisi economica, che risiedono principalmente nella cattiva gestione della ricchezza nazionale da parte di al-Sisi e dei suoi generali, la comunità internazionale ha optato per l’unica politica che conosce: elargire denaro a un regime fallito, ritenendolo cruciale per la “stabilità”.

NEGLI ULTIMI due mesi, il regime egiziano è stato “salvato” con un totale di 57,4 miliardi di dollari: 35 miliardi dagli Emirati Arabi Uniti, 8 dal Fmi, 8 dall’Ue, 6 dalla Banca Mondiale e 400 milioni dalla Gran Bretagna. Nell’anno fiscale 2024/25 i pagamenti del servizio del debito consumeranno il 62,1% del bilancio governativo totale. La guerra di Israele contro Gaza non ha solo provocato il genocidio di oltre 34.000 palestinesi, ma ha anche contribuito a radicare ancora di più i regimi repressivi della regione e ad incoraggiarli, con il benestare dei leader politici occidentali ossessionati dalla stabilità a breve termine.