«Argomenti scottanti». È l’etichetta posta da Mosca ai temi in agenda nel nuovo incontro di alto livello con la Cina. Ieri, poco dopo le otto e trenta del mattino, è atterrato a Pechino il ministro degli esteri russo, Sergej Lavrov. Neppure 48 ore prima, il segretario al tesoro Usa Janet Yellen aveva avvertito la Cina del rischio di «serie conseguenze» qualora fosse stata accertata la sua assistenza all’industria della difesa russa. Per scherzo della sorte, o meglio per decisione di Pechino, Lavrov e Yellen si sono ritrovati entrambi nella capitale cinese nello stesso momento.

GIÀ DA QUALCHE giorno si sapeva che Lavrov sarebbe arrivato a incontrare Wang Yi, ministro degli esteri cinese e capo della diplomazia del Partito comunista, ma l’annuncio ufficiale è arrivato solo poche ore prima del suo arrivo. Potrebbe sorgere la tentazione di considerare le tempistiche come una sorta di risposta più o meno diretta all’avvertimento di Yellen o alla «preoccupazione» sui rapporti sinorussi espressa da Joe Biden nella telefonata con Xi Jinping della scorsa settimana. La retorica cinese sembra invece voler utilizzare l’affollamento diplomatico (a cui partecipa anche l’ex presidente taiwanese Ma Ying-jeou, che domani potrebbe incontrare Xi) per ergersi a potenza “di mezzo”, l’unica in grado di parlare con tutti.

CERTO, I RAPPORTI con Washington e Mosca non sono uguali. Yellen ha chiuso la sua visita di sei giorni con una conferenza stampa nella quale ha ribadito che gli Usa «non accetteranno» un’ondata di merci cinesi a sottocosto. «So che queste serie preoccupazioni sono condivise dai nostri alleati e partner», ha aggiunto, paventando nuovi dazi non solo sui chip ma anche sulle nuove tecnologie verdi. Una mossa che potrebbe essere imitata dall’Ue sulle auto elettriche.

MOLTO DIFFICILE, invece, che Lavrov ritorni da Pechino lasciando trasparire delle divisioni con quello che sembra essere sempre più diventato il suo senior partner. L’obiettivo della sua missione è innanzitutto preparare nei dettagli la visita di Vladimir Putin, prevista per maggio. Sarà la terza in poco più di due anni, dopo quella di febbraio 2022 poche settimane prima dell’invasione dell’Ucraina e quella dello scorso ottobre per il forum sulla Via della Seta. Il Cremlino fa sapere che si parlerà di rafforzamento della cooperazione in sede di piattaforme multilaterali: non solo e non tanto Nazioni unite e G20, ma anche e soprattutto Brics (il cui summit del 2024 sarà in Russia, a Kazan) e Organizzazione della cooperazione di Shanghai. Entrambi i gruppi sono in allargamento, con Mosca e Pechino che li vedono sempre più come una sorta di anti G7.

AL CENTRO delle discussioni resteranno comunque i principali fronti strategici. Poco prima di partire, Lavrov ha elogiato il piano cinese sull’Ucraina, che chiede la tutela delle «legittime preoccupazioni di sicurezza» di tutte le parti, ergo anche di Mosca. Wang ribadirà di essere a favore dei negoziati, da capire quanto esplicitamente si daranno le colpe all’occidente per la continuazione della guerra, o meglio «crisi» come viene ancora definita. E Pechino continua a far capire che il suo impegno a favorire i colloqui è legato alla partecipazione della Russia, oltre che dell’Ucraina, alla prossima conferenza di pace che si dovrebbe tenere in Svizzera.

CRESCE INTANTO la sensazione che il campo occidentale possa sfaldarsi. «Sempre più paesi vogliono i negoziati», si legge sul Global Times. «In futuro, più membri Nato e Ue si avvicineranno alle posizioni dell’Ungheria», pronostica il tabloid nazionalista cinese.
Attenzione anche ai risvolti asiatici della visita di Lavrov. Domani, Biden riceverà alla Casa bianca il premier giapponese Kishida. Il giorno successivo è in programma un inedito trilaterale col presidente filippino Ferdinand Marcos Jr, nel quale saranno annunciate nuove iniziative congiunte di sicurezza nei pressi delle acque contese tra Tokyo, Manila e Pechino. Il Giappone sembra peraltro destinato ad aderire al “secondo pilastro” del patto Aukus, che impegna allo sviluppo congiunto di tecnologie avanzate con possibili scopi di difesa. Per la Cina, sono i prodromi di quella Nato asiatica che da tempo accusa gli Usa di voler costruire per soffocarla.