Nel tessuto sociale polacco esiste una vera e propria spaccatura generazionale, che è evidente sul tema dell’aborto. Quando dall’11 aprile il voto del Parlamento europeo ha impegnato i Paesi dell’Unione ad abrogare il divieto, la Polonia è stato uno dei principali Stati chiamati in causa. Al momento il governo polacco sta discutendo, ma l’opinione pubblica che cosa ne pensa?

Che cosa si è visto quel giorno e nei giorni successivi per le strade di Varsavia o intorno alla principale università della città? Si è registrata una società completamente divisa, dove le famiglie, perlomeno quelle ascoltate, di un buon livello socio-culturale, tanto da poter essere ascritte nel solito vecchio schema di «alta borghesia», si esprimono evidenziando questo: quanto proposto dal centro sinistra europeo non è realizzabile. L’avvocato Kaminski, ad esempio, precisa: «Il provvedimento europeo, condivisibile o meno, non è realizzabile. È uno dei tanti provvedimenti che vorrebbero gettar fumo negli occhi, dando l’idea di un’Europa che rispetta i diritti, tentando di mettere sotto il tappeto la polvere dell’adesione alla guerra, della corsa agli armamenti, della dimenticanza dei diritti degli immigrati (e gli ultimi provvedimenti, in tal senso, sono un altro tassello notevole di fumo negli occhi)».

Come precisa il giurista, residente attualmente, con la sua compagna pittrice, nel quartiere di Zoliborz, il punto focale della discussione non sta nell’essere d’accordo o meno sul provvedimento, ma nel fatto che l’unanimità richiesta non sarà mai raggiunta, soprattutto per il veto durissimo dell’Ungheria, di Malta e della Slovacchia. «Tusk sembra distante apparentemente dal governo nazionalpopulista precedente e forse potrebbe accettare l’idea dell’aborto come diritto, ma gli converrebbe farlo? Probabilmente no, visto che gran parte delle famiglie tradizionali non ritengono centrale il dibattito sull’aborto».

Di parere contrario, invece, sono i giovani universitari della facoltà di Filosofia, ad esempio, che, in una piccola manifestazione, a Varsavia, davanti al Dipartimento, hanno chiesto una «Polonia più libera, più attenta al corpo femminile», mostrando simpatia e coinvolgimento verso le opinioni di Karen Melchior, eurodeputata di Renew Europe, promotrice della risoluzione. Alcuni di questi ragazzi sognano una Polonia rinnovata, che ancora non esiste neanche nelle idee dell’attuale premier, ma che potrebbe sperare, con le prossime elezioni del 2025, di liberarsi del pesante giogo degli eurodeputati di PIS, con valori molto vicini a quelli di Vox in Spagna.

Varsavia, come hanno scritto due ricercatrici italiane, Francesca Sernia e Roberta Scarati, presenta al suo interno molte architetture e intere aree realizzate tra gli anni Venti e Trenta del secolo scorso, intere zone non compromesse dalle distruzioni della Seconda Guerra Mondiale. Parti dei quartieri che circondano il centro cittadino come Kolo, Saska Kepa, la zona di Rakowiec sono interessanti esempi di sperimentalismo nell’ambito delle produzioni architettoniche moderne e presentano complessi di edifici integrati ai principi sociali e al ruolo educativo dell’architettura, in linea di pensiero con l’Avanguardia olandese e i fondamenti del Congrès Internazionale d’Architecture Moderne.

Tuttavia, ad oggi, è la zona di Zoliborz a rappresentare un distretto speciale: prezioso da un punto di vista architettonico, ricco per la sua arte di strada, pieno di vivacità intellettuali e di acceso dissenso verso quell’Europa centrale e orientale che, di tanto in tanto, perde la strada della tolleranza, dell’accoglienza, della nonviolenza.

Perché proprio questo quartiere? Innanzitutto, come hanno scritto le due studiose del Politecnico di Torino, qui si riesce a studiare il tessuto sociale di Varsavia fra passato e presente, fra guerra e pace, fra devastazione e ricostruzione, ma si osservano anche gli aspetti della salvaguardia e della conservazione del gusto moderno, notevolmente ampliato tra le due grandi guerre, soprattutto per l’area di Nowy Zoliborz, costituita dalle cosiddette «Kolonie» per operai (edifici multifamiliari, a tre o cinque piani, con alloggi minimi e corti private interne, che rispecchiano gli ideali socialisti e moderni di abitazione economica, realizzati dalla cooperativa d’abitazione della capitale).

In particolare la VI Kolonia, area di pubblica utilità per il quartiere, con le strutture che la caratterizzano (ad esempio la ex centrale di riscaldamento, la ex lavanderia, il vecchio cinema ‘Kino Tencka’) necessita, ad oggi, di un intervento di recupero basato sì sul restauro materico, ma anche sulla riqualificazione dell’intero complesso. Nonostante quest’esigenza di recupero, è proprio lì che si radunano i giovani poeti, i sognatori di una Polonia completamente libera da quella deriva ultranazionalista, che, solo di recente, dopo le elezioni, si è attenuata.

Sono questi giovani poeti e questi giovani pittori, che ritraggono sulle pareti David Bowie, facendo di lui un’icona anche per testimoniare la solidarietà verso i diritti degli omosessuali, a chiedere un’altra vita per il quartiere e un’altra possibilità per l’intera Polonia. Si sentono rappresentati da chi cantava, in maniera sempre più camaleontica, Under Pressure! Inoltre Bowie, come si sa, ha passato tanto tempo a Zoliborz ed ha attraversato Varsavia due volte in treno verso Mosca. Pare che durante uno di questi passaggi per la città, Bowie abbia fatto una passeggiata verso la zona della stazione e abbia comprato alcuni dischi di musica polacca da un negozio nelle vicinanze.

Il distretto di Zoliborz, come si può intuire, è un bel compendio d’ arte, poesia e politica intese come le principali voci per testimoniare, con sempre maggiore vigore, l’identità di una città controversa e contraddittoria, che ha saputo spalancare, con grande umanità, le porte ai rifugiati ucraini, ma ha messo fili spinati e progettato muri per i migranti della rotta balcanica.

Da Zoliborz, gli intellettuali e gli artisti hanno preso e prendono la parola, rivolgendo le loro perplessità anche verso gli amici in Ungheria, in Bielorussia, in Ucraina e nella stessa Russia. E quanti giovani dissidenti russi si sono nascosti per le vie di questo quartiere? Quanti hanno firmato articoli con pseudonimi o mantenuto attivi canali Telegram per divulgare l’altra Russia, cioè quella lontana dalle politiche del Cremlino? E quanti disertori ucraini si sono arroccati a Zoliborz per sfuggire alla guerra e per sperare di continuare una vita quasi normale? Andando per le strade di quella parte di Varsavia, si conoscono gli edifici che danno ospitalità ai dissidenti, si conoscono gli intellettuali che accolgono, nei loro studi, tutti coloro che vogliono manifestare la loro idea politica nonviolenta.

È anche questo Zoliborz! Il quartiere della cultura, del dissenso e della voglia di aiutare chi ha un’idea diversa della società. Dunque, da qui, passa un bel pezzo di quel che era ed è Varsavia, come le immagini di August Agbola O’Brown, grande musicista jazz nigeriano, vissuto in città a partire dagli Anni Venti, il quale decise di prender parte alla lotta di resistenza della città contro l’occupazione nazista. Fu l’unico uomo africano a combattere in difesa della capitale polacca e, proprio per questa ragione, l’artista Karol Radziszewski, uno degli artisti polacchi più talentuosi, ha, di recente, cercato di riproporre la sua figura in chiave cubista, esponendo anche in una galleria del noto quartiere.

Torniamo all’architettura di Zoliborz, così come in apertura. Da quelle vie è, inoltre, partita una forma di «progettazione partecipata», un principio utilizzato dagli architetti socialisti durante la realizzazione delle Kolonie; ed oggi, come in passato, sono stati consultati gli abitanti, attraverso un questionario, preparato ai fini dell’indagine, per comprendere i loro legami con l’identità storica del quartiere e le perplessità riguardo le aspettative verso quei luoghi. Attraverso l’applicazione di questa metodologia di partecipazione dal basso sono state definite le linee guida per tutelare un quartiere decisamente singolare, uno dei più preziosi d’Europa. Gli abitanti, nel questionario, hanno espresso suggerimenti dettati dalla loro quotidianità e soprattutto dalle esigenze delle persone che, in futuro, dovranno usufruire degli spazi considerati.

Come si è deciso di rifunzionalizzare le vie e gli edifici di Zoliborz? Innanzitutto è in programma la nascita di un polo culturale all’interno dell’ex centrale di riscaldamento; poi un museo a cielo aperto e una nuova struttura, nell’area interna del complesso, da destinare a centro di ritrovo per anziani con annesso ristoro, ‘bar Mleczny’ (bar di latte), locale a bassissimo costo della tradizione polacca, frequentato da estrazioni sociali e culturali molto diverse.

Le scelte di Zoliborz sono in controtendenza non solo da un punto di vista politico, bensì anche sociologico: la scelta è quella di rallentare i ritmi di vita, i costi, di valorizzare l’aria aperta e la cultura non bellica, tentando di dimenticare il volto – anche -nazionalista, autocratico, antidemocratico dell’Europa centrorientale.