Nel tardo capitalismo, dove pochi fondi d’investimento controllano l’economia globale, dall’alimentare alla tecnologia, figuriamoci se è possibile risalire al proprietario di una società di calcio. La quale è di per sé un perfetto veicolo finanziario, potendo operare esclusivamente su ipotesi e scommesse, senza alcun rapporto con la produzione. Di chi è quindi il Milan? Di RedBird Capital Partners, che nel 2022 dice di averlo comprato per 1,2 miliardi facendosi prestare metà dei soldi (560 milioni al tasso del 7%) dal vecchio proprietario Elliott Management Corporation? O è ancora di Elliott, che a sua volta aveva comprato il Milan nel 2017 da Silvio Berlusconi per oltre 750 milioni. Pagandolo però solo i 300 milioni del suo valore iscritto a bilancio Fininvest. Perché gli altri 450 arrivarono attraverso i paradisi fiscali da un misterioso prestanome cinese, Yonghong Li, che sembrava pieno di soldi ma poi perse tutto. Sono le domande che si è fatta la guardia di finanza quando ha perquisito la sede del Milan e notificato l’iscrizione tra gli indagati all’ad Giorgio Furlani e al suo predecessore Ivan Gazidis. E sono le domande che si fa la Sec (Securities and Exchange Commission) che negli Stati Uniti vigila sulle quotate.

PERCHÉ IL CASO è internazionale, anche nella sua declinazione di commedia all’italiana. L’indagine, ordinata dal procuratore aggiunto Tiziana Siciliano e dai pm Giovanni Polizzi e Giovanna Cavalleri, era partita infatti oltre due anni fa a seguito dell’esposto di Salvatore Cerchione e Gianluca D’Avanzo. Due ex soci di minoranza. Due personaggi poco conosciuti che però, chissà perché, nel 2017 erano stati fondamentali per la costruzione delle società in Lussemburgo che permisero il passaggio delle quote da Berlusconi a Elliott attraverso Li. Ed è anche abbastanza divertente che poche ore dopo le prime perquisizioni, nel gennaio 2023, improvvisamente due società del fondo Elliott scapparono dalla finestra di Casa Milan, in via Aldo Rossi a Milano, per ritrovarsi nei paradisi fiscali del Delaware e delle Isole Cayman. Ma la questione è anche maledettamente seria. E infatti la procura ipotizza che «il fondo Elliott conservi attualmente il controllo sostanziale della società Ac Milan» perché al comando non ci sarebbe RedBird ma Rb Fc Holding Genpar Llc, che per puro caso ha sede al medesimo indirizzo, sempre in Delaware, di King George Investments Llc e Genio Investments, società attraverso cui Elliott controllava il Milan. Il tutto, tra l’altro, sarebbe emerso anche consultando un prospetto di vendita del club in cui per il 41,7% del Milan si chiedevano 487,5 milioni da utilizzare per ricomprare l’80% del famoso prestito di Elliott. Pratica lecitissima, per carità. Ma curioso che a decidere dove andrebbero gli eventuali soldi di una vendita sia l’ex proprietario, quello che più nulla ha che fare con la società. Inoltre, si chiede la procura, perché nel 2022 RedBird avrebbe pagato 1,2 miliardi (di cui la metà dati da Elliott) se all’epoca il club era valutato 600 milioni da tutte le società specializzate? Qualcosa non torna. Anche perché, ipotizzano sempre gli inquirenti, oltre al prestito «ufficiale» di Elliott ci sarebbero anche «discrepanze sulla provenienza dei fondi utilizzati per l’acquisto delle azioni». Elliott e RedBird ovviamente nei loro comunicati negano tutto. E sarà quindi difficile, se non impossibile, risalire alla provenienza di questi soldi. Perché i fondi operano attraverso società vuote, con sede nei paradisi fiscali.

E SPESSO le acquisizioni avvengono tramite ulteriori veicoli finanziari creati appositamente. Questo proprio per impedire che si possa risalire alla reale proprietà. Ora vediamo perché. A livello locale il problema sarebbe non avere fatto le giuste comunicazioni alla Federcalcio, «ostacolandone» l’operato. Potrebbe arrivare una multa, o anche una penalizzazione. A livello europeo invece le sanzioni potrebbero essere più dure. Non tanto per una mancata o difforme comunicazione, ma perché le comproprietà dovrebbero essere assolutamente vietate. E il fondo Elliott tra quote azionarie (il Lille) e prestiti (il Tolosa) in questi anni ha controllato anche due club francesi. Ma anche qui è difficile accada qualcosa. Basti pensare che nel 2019 la Uefa ha permesso che in Europa League si affrontassero Lipsia e Salisburgo, che appartengono alla Red Bull, ma che per facili operazioni di maquillage finanziario appaiono di proprietà diverse. Il problema infatti, al di là delle inchieste giudiziarie e di eventuali malcondotte, è squisitamente sportivo. Oramai tutti i grandi club, dal City allo United, dal Chelsea al Psg, dalla Juve all’Inter, ma anche Real Madrid e Barça, sono controllati dagli stessi fondi: attraverso partecipazioni dirette, di maggioranza o minoranza, o attraverso prestiti e obbligazioni. Gli stessi fondi che poi controllano le piattaforme che pagano i club per trasmettere le immagini delle loro partite. Secondo una ricerca di PitchBook, nel 2023 ben il 41,7% dei club europei era in mano ai fondi d’investimento. E questi sono sicuramente meno delle squadre che si affrontano tra loro. Ecco perché, nel tardo capitalismo finanziario, è impossibile risalire alla vera proprietà di un club di calcio. A meno che non si accetti che, prima o poi, sarà la stessa per tutte le squadre in gara.