Si potrebbe farla a Roma, naturalmente, oppure a Genova, che ha una certa tradizione in materia, o anche a Napoli, capitale meridionale, o dove si preferisce: la più grande manifestazione che si sia mai vista, popolare e nazionale, nazionale e popolare, borghese e proletaria, giovane e vecchia, femminile e maschile, rossa e verde e magari bianca, escludendo il nero, nel quarantanovesimo anniversario del 25 aprile 1945.

Che è ancora una festa consacrata nel calendario non perché fu giorno di insurrezione contro l’occupazione nazista e i residui di Salò, ma perché fu compimento e inizio di liberazione in senso proprio: liberazione da anni cupi di guerra, oppressione, umiliazione, e riconquista diretta della democrazia, e poi della repubblica. e poi della Costituzione,  che non erano (e non sono) sigle vuote ma un inalienabile patrimonio comune.

Con treni, con i pullman, in automobile, in bicicletta, a piedi, potrebbe essere una manifestazione come se n’è persa la memoria (cos’è mai la memoria nel nostro tempo, se non anticaglia?).

Non un raduno antifascista. per carità, l’aggettivo è premoderno e pressoché vietato tanto quanto è attuale il suo opposto.

E neppure una risposta paraelettorale, figuriamoci. Semplicemente un incontro tra persone che si riconoscono, che si ritrovano «in carne ed ossa», che esprimono un intento comune e celebrano, senza dimenticare il passato, il presente e il futuro.

La redazione consiglia:
Vi ricordate quel 25 aprile?

Per ventiquattro ore, una volta l’anno, in una «giornata particolare». Dovrebbero indirla, questa manifestazione, senza complicazioni diplomatiche, intendendosi al volo, tutti coloro che traggono «dal basso» la loro autorità: gli esponenti della sinistra. dei movimenti democratici. dei sindacati, delle istituzioni periferiche, dei raggruppaunenti sociali.

Dovrebbero sentirla come un bisogno proprio, promuoverla con la sincerità, la convinzione e anche l’orgoglio senza di cui non si combina nulla.

Noi possiamo solo sollecitarli, e con sincerità lo facciamo.