Anche se la lista pot-pourriJunts pel Sí” (Uniti per il sì), dietro cui si nasconde l’attuale presidente catalano Artur Mas, di centro-destra, secondo tutti i sondaggi sarà la più votata nelle elezioni catalane di domenica, il vero protagonista di queste elezioni sarà un partito che non è un partito: la CUP.

La Candidatura d’Unità Popolare è un’organizzazione assemblearista e indipendentista che dal 2012 è entrata per la prima volta nel Parlament catalano con 3 rappresentanti. I sondaggi oggi le danno almeno 10 seggi – ma probabilmente saranno di più.

Il giornalista indipendente Antonio Baños è stato scelto come capolista per questa tornata elettorale dato che i tre deputati si erano impegnati a rimanere in parlamento solo per una legislatura.

“Io sono solo il portavoce della CUP, la CUP non ha leader né capi”, ci spiega subito. “Saranno le assemblee che decideranno il da farsi”.

Qual è il vostro piano?

Fonderemo una repubblica, punto. Che c’è di più bello? Una repubblica per ampliare i diritti. Abbiamo un piano di riscatto cittadino per far sì che le persone possano mangiare 3 volte al giorno – pensa che follia! E che si blocchino le privatizzazioni in sanità ed educazione. Vogliamo fare la repubblica per vivere meglio e con più diritti.

Per questo vi mettete d’accordo con chi come Mas queste privatizzazioni le ha fatte?

Anche loro vogliono una repubblica catalana. Certo, uno di destra la vorrà diversa da noi. Siamo d’accordo che questo è il momento storico per costruire un soggetto politico sovrano che sia indipendente. Una cosa tanto normale come la repubblica slovacca o quella italiana. Nel modo di farlo e negli obiettivi finali ovviamente non siamo d’accordo.

Avete detto molte volte che per voi il nome del presidente non è importante, e che non lo voterete.

Non fermeremo un governo che ci porti all’indipendenza. Se vinciamo…

Se vincete che vuol dire? In voti o in seggi?

Se vinciamo anche in voti, noi considereremo che abbiamo ricevuto un mandato democratico, che siamo sovrani e che possiamo costruire una repubblica. In ogni caso, con o senza maggioranza dei voti, si dovrà formare un governo di concentrazione nazionale, con diversi partiti e sensibilità politiche. La figura che lo presieda ovviamente deve essere di consenso. Non sarà né la Cup, né Mas – i due estremi ideologici.

L’importante sarà chi entra in questo governo, chi sarà il ministro d’economia o quello che andrà a negoziare a Madrid e Bruxelles e ciò che faremo. Ridurre tutto a Mas sì o no è un insulto per i milioni di catalani che appoggiano questo processo. La repubblica siamo tutti, non solo Mas, al contrario di quello che pensano il Pp e Podemos. Sarà comunque un governo provvisorio, di 18 mesi. Va bene anche un presidente a rotazione, per noi è lo stesso.

Quindi, anche se nei posti chiave del governo andranno esponenti di Convèrgencia, il partito di Mas, lo voterete.

Noi non vogliamo un governo guidato da Convèrgencia, è vero, ma non vogliamo nemmeno far deragliare un processo indipendentista in cui credono milioni di persone. Possiamo non appoggiare il governo, astenendoci. Se vuole proclamare la repubblica, lo appoggiamo. Su altre questioni, no. La dottrina è: pugno chiuso ai tagli, alle privatizzazioni, sui temi sociali. E mano tesa per la costruzione della repubblica.

Quindi lavorerete anche con quelli di Catalunya sí que es pot, la lista unitaria di Podemos, verdi e Izquierda unida?

Ci speriamo, anche loro credono nella sovranità catalana e in un processo costituente unilaterale. Il loro problema è che non faranno niente fino a che non è chiaro chi governerà a Madrid a dicembre: pensano che se non ci sono “amici” non si può fare. Se gli dimostriamo che sì, si può fare, potremo averli a fianco.

Secondo quello che ha raccontato Dante Fachin al manifesto, la loro priorità è mettere in discussione molto più che la questione territoriale.

Per me non ha senso. Non si può fare un referendum su tutto, se no si deve fare ogni giorno un referendum. E poi ci sono cose su cui non c’è nulla da decidere: la scuola, la sanità sono pubbliche. Non c’è un cambiamento sociale più grande che recuperare la sovranità e costruire una repubblica. Immaginati – dio non voglia, perché non vogliamo male nessuno – che a dicembre ritorna a vincere il Pp, magari con Ciutadanos. Quelli di Catalunya sí que es pot verranno a combattere con noi il governo spagnolo per cercare di uscire da questo pozzo.

Avete fatto una stima seria sul costo della costruzione di questo nuovo stato? In campagna elettorale non ne ha parlato nessuno.

Ci sono un sacco di stime, basta entrare in qualsiasi libreria. Però i costi vanno messi a fianco dei benefici. Il costo di montare un nuovo stato è sempre ragionevole e positivo. Tant’è che non esiste nessun caso nella storia di uno stato che si sia formato e che abbia deciso di fare un passo indietro. Se persino Montenegro ha montato uno stato, perché non dovremmo farlo noi? Per costruire l’Italia ci sono volute 5 guerre, noi usiamo solo le urne!

I vantaggi possono essere politici e non economici… in ogni caso: numeri.

Mi sembra che un numero che si è fatto è di 50 miliardi. Però ne paghiamo 17 in tasse e non dovremo pagare per esempio gli interessi del debito militare. Oppure, quest’anno paghiamo in droni militari lo stesso che varrebbe mettere in piedi il reddito di cittadinanza: 172 milioni d’euro. Noi con l’autonomia abbiamo già la polizia, un’amministrazione, funzionari, università. Non è che partiamo da zero. E poi dovremmo vedere quanta parte di debito pubblico ci tocca: il 16%, se contiamo la popolazione, il 25% se parliamo del Pil… Il debito illegittimo, come quello per riscattare le banche, secondo la Cup non bisogna pagarlo. Per noi la lotta contro l’esclusione sociale e la creazione di uno stato sono la stessa lotta.

Per molti non catalani è difficile capire come si fa a essere nazionalisti e di sinistra.

Ma noi non siamo nazionalisti. Siamo catalani e di sinistra. Perché voler avere uno stato deve essere “nazionalismo”? Si tratta di sovranità popolare. Il catalanismo politico è un processo che ha 150 anni. Ma in questi ultimi anni, l’indipendentismo è cresciuto fra persone come me, di lingua spagnola, o fra gli immigrati. Perché uno che non parla catalano vuole uno stato? Perché non è nazionalista, vuole uno stato sociale, pulito, trasparente, efficiente. Finora le “catalanità” sono state sequestrate dal nazionalismo di destra di Convergència, culturalista ed etnicista. Le catalanità del futuro sono il milione di immigranti che è venuto dall’inizio del secolo, sono quelli che fra loro parlano spagnolo, e ai figli in catalano, e che non hanno referenti culturali in “un passato glorioso”. Questo spiega perché gli indipendentisti sono passati dal 15% a più del 50%, speriamo. Del passato non ci frega niente, stiamo costruendo una repubblica del futuro.