Le domande poste ieri durante il question time alla Camera dal capogruppo di Sinistra Italiana, Arturo Scotto, erano chiare. «Il governo italiano sul caso Regeni intende o no richiamare l’ambasciatore per consultazioni? E dichiarare l’Egitto Paese non sicuro, adoperandosi affinché il governo del Cairo ponga fine alla costante violazione di diritti umani e civili nei confronti della popolazione?».

Si tratta di due iniziative molto differenti: il primo è un provvedimento diplomatico severo teso a dimostrare un irrigidimento nelle relazioni tra i due Paesi, il secondo è una presa d’atto tecnica delle condizioni di un Paese nel quale non è garantita la sicurezza della popolazione, dunque un avvertimento anche ai possibili investitori e viaggiatori.

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Ma di risposte, nel discorso pronunciato in Aula, in parte a braccio, dalla ministra Maria Elena Boschi a nome della Farnesina, essendo Gentiloni in missione all’estero, non ce n’è tracce. Invece solo una cosa è risultata chiara: non è affatto detto che il 5 aprile gli inquirenti egiziani si presenteranno a Roma per incontrare il procuratore capo Giuseppe Pignatone e il pm Sergio Colaiocco, titolare del fascicolo sull’omicidio di Giulio Regeni, e portare finalmente i documenti senza i quali ogni attestato di collaborazione rimane solo una formula vuota.

«Auspichiamo che la visita degli investigatori egiziani sia confermata», ha detto la ministra, anche se poco prima aveva ostentato più sicurezza: «Il governo ha preteso e ottenuto di avere accesso alle indagini in questi mesi».

Un’affermazione a dir poco azzardata, tanto che gli uomini del Ros e dello Sco ieri hanno lasciato Il Cairo, richiamati in patria dopo quasi due mesi persi. «La concreta possibilità di indagare pienamente sull’omicidio Regeni è delle autorità egiziane – ha spiegato Pignatone in un’intervista al numero dell’Espresso oggi in edicola – Non abbiamo il diritto, per il rispetto della sovranità nazionale, di disporre intercettazioni in Egitto o altre attività giudiziarie. E il nostro team investigativo inviato al Cairo dopo la scoperta del corpo del giovane ricercatore, non può di propria iniziativa effettuare in un Paese straniero pedinamenti o indagini autonome. Noi possiamo offrire, come stiamo facendo, la nostra piena collaborazione a sviluppare meglio le indagini». Sempre che ci sia qualcuno disposto a seguire le indicazioni.

E infatti la ministra Boschi, rivendicando «una dinamica di collaborazione istituzionale che ci ha permesso di respingere ogni tentativo di alimentare ipotesi surreali e tendenziose», spiega, sia pur nel linguaggio criptico necessario al contesto, quanto sia necessaria l’alleanza con una parte dell’apparato statale egiziano (il ministro degli Esteri, per esempio, che secondo alcuni media indipendenti egiziani sarebbe pronto ad ammettere le responsabilità del regime) al fine di fermare ogni tentativo di depistaggio (l’ultimo ufficializzato dallo stesso ministro degli Interni, Ghaffar).

Insomma, per decidere se seguire le proposte avanzate dal senatore Pd Luigi Manconi durante la conferenza stampa con i genitori di Giulio Regeni, il governo Renzi deve aspettare almeno il 5 aprile: «Dobbiamo verificare lo stato della collaborazione tra gli inquirenti – ha concluso la ministra Boschi – anche per verificare nuove iniziative diplomatiche che potrebbero essere assunte».

«Non siamo affatto soddisfatti – ribatte il capogruppo di Si, Arturo Scotto – Un intero paese, una intera generazione chiede verità e giustizia per Regeni. Abbiamo il 5 aprile come data ultima. Se l’Egitto non tira fuori le carte e non contribuisce a ricostruire una verità giudiziaria il governo italiano ne deve prendere atto e trarre le conseguenze». Almeno, aggiunge al manifesto, «che le relazioni commerciali subiscano un tagliando, se non proprio rivedere gli accordi stipulati tra il regime di Al Sisi e alcune aziende italiane, Eni in testa».

Una richiesta, quella di ottenere dalle autorità del Cairo la «verità vera e non quella di comodo», che ieri è stata avanzata anche dal presidente dell’Anci. Piero Fassino, sindaco di Torino, ha anche invitato «tutti i sindaci ad aderire alla campagna promossa da Amnesty International».