Il conto alla rovescia è cominciato. Fra tre settimane esatte gli spagnoli voteranno per le elezioni municipali in tutto il Paese e per le regionali in 13 Comunidades su 17 totali. Un test di enorme importanza in vista delle politiche di autunno. Al centro dell’attenzione c’è ovviamente Podemos, nuovo protagonista anti-austerità della scena iberica, che in questi giorni è impegnato a superare la sua prima crisi interna: giovedì sera, Juan Carlos Monedero, ideologo e co-fondatore del partito (e «numero tre» nella gerarchia), ha lasciato ogni incarico di direzione per divergenze sulla strategia del leader Pablo Iglesias, considerata troppo pragmatica e politicista.

Un gesto forte, ma non una rottura totale: «Malgrado le differenze, resto in Podemos e al fianco di Iglesias, ma come “libero pensatore”» ha affermato in sostanza Monedero in una lettera aperta pubblicata dal quotidiano online Público.es. Troppo stretto il ruolo di «funzionario d’alto rango» per una personalità brillante e vulcanica come lui, 52enne docente universitario e instancabile pubblicista, a disagio di fronte a quella che ritiene la «burocratizzazione» del giovane partito. Nelle reazioni c’è rammarico, ma nessuna polemica: «Juan Carlos è un intellettuale che ha bisogno di volare, il suo pungolo è più necessario che mai», ha dichiarato Iglesias, mostrando di comprendere la scelta, pur senza condividere l’analisi che l’ha motivata.

La crisi al vertice è la spia delle difficoltà di un partito nato «per tradurre in politica l’indignazione sociale del movimento della Puerta del Sol», e che ora si trova a fare i conti con la realtà della lotta per il potere: impossibile mantenere la «purezza» delle origini quando il gioco si fa davvero duro, inevitabile qualche forzatura «d’organizzazione» in vista dell’appuntamento con le urne. Non solo: sul piano strategico in Podemos esiste un dibattito fra chi predilige il messaggio classico della sinistra di alternativa e chi ricerca «la centralità» nello scacchiere elettorale all’insegna del superamento delle categorie «destra-sinistra». Le prossime settimane diranno se la vicenda-Monedero sarà stata una «crisi di crescita» o un segnale che le molte aspettative suscitate da Podemos hanno cominciato a lasciare spazio a un prematuro disincanto.

Per ora non si registrano veri contraccolpi, come mostrano gli ultimi sondaggi pubblicati ieri dall’edizione web del quotidiano El País. Nella regione più popolosa fra quelle che andranno alle urne, la Comunità autonoma di Madrid, il Partido popular (Pp) di Mariano Rajoy dimezzerebbe i seggi, precipitando dal 52 al 27%. Alle sue spalle Podemos si contende il secondo posto con i socialisti del Psoe e i liberali «anti-casta» di Ciudadanos, l’altra new entry della politica spagnola: le tre forze sono date intorno al 21%. Fanalino di coda Izquierda unida (Iu) con il 5,5%. Due gli scenari possibili, preludio di cosa potrebbe accadere in autunno: un’alleanza fra Pp e Ciudadanos o una coalizione progressista fra Psoe, Podemos e Iu. Al municipio della capitale il Pp è primo (34%) con un distacco di dieci punti dalla lista unitaria Ahora Madrid promossa da Podemos e guidata dalla popolare ex magistrata Manuela Carmena. A seguire, Psoe e Ciudadanos appaiati intorno al 17%. Senza rappresentanza Iu, che resterebbe per pochi decimali al di sotto della soglia di sbarramento del 5%, pagando duramente la scelta suicida (e dannosa per tutto il fronte progressista) di non far parte della lista unitaria anti-austerità.

Un passaggio-chiave nell’avvicinamento alle urne del 24 maggio è il voto d’investitura della presidente in pectore dell’Andalusia, la socialista Susana Díaz. Domani la prima sessione utile del Parlamento regionale a Siviglia: al Psoe, che ha la maggioranza relativa, serve il voto favorevole o l’astensione di Podemos e Ciudadanos. Dagli sviluppi delle ultime ore sembra profilarsi il decisivo «sì» all’elezione di Díaz da parte della compagine liberale, mentre il movimento di Iglesias mantiene il proprio rifiuto. Ma il dialogo con il Psoe non è interrotto, e non sono escluse sorprese.