E adesso il dieselgate rischia di allargarsi a macchia d’olio. Mentre dagli Stati uniti arriva la notizia del possibile avvio di un’indagine del Dipartimento di giustizia su Fiat Chrysler Automobiles (Fca) dopo le accuse lanciate dall’Epa, l’agenzia ambientale americana circa presunte violazioni sugli standard delle emissioni di alcuni modelli, in Europa nel mirino finisce un altro colosso del settore come la francese Renault. Il tutto mentre anche il ministero dei Trasporti britannico rende noto di aver chiesto alle autorità americane informazioni su una possibile manomissione dei dati da parte di Fca e l’Unione europea – «preoccupata» per le notizie in arrivo dagli Usa – sollecita il governo italiano a fare chiarezza circa la compatibilità di un altro modello Fiat, in questo caso la 500X diesel, con la legislazione Ue sulle emissioni. Richiesta di chiarimenti nata in seguito a una denuncia presentata nel 2016 dalla Kba, l’autorità tedesca dei trasporti. «Abbiamo chiesto ripetutamente alle autorità italiane di fornire spiegazioni convincenti, ora però non abbiamo più tempo perché l’esecutivo comunitario intende chiudere il procedimento», ha detto ieri la portavoce della Commissione europea Lucia Caudet.

Fca per ora resiste, anche in borsa. A piazza Affari ieri il titolo ha realizzato un buon rialzo guadagnando il 4,61%, mentre l’ad Sergio Marchionne non si mostrato stupito della possibile apertura di un’inchiesta da parte del Dipartimento di giustizia americano visto che, ha spiegato, iniziative di questo tipo seguono sempre quelle dell’Epa.

Per quanto riguarda la sollecitazioni giunte da Bruxelles, tutto nasce da una denuncia presentata da Berlino a maggio dell’anno scorso quando, sulla base dei test realizzati dopo lo scandalo Volkswagen sulle emissioni, avrebbe riscontrato una mancanza di conformità  per Fiat 500 X diesel, Doblò e Renegade.

Da quel momento la Commissione europea ha chiesto a Italia e Germania di confrontarsi per arrivare a una chiarimento. Rispondere per eventuali violazioni delle norme spetta infatti ai governi e non alle case produttrici. «Sono gli stati membri gli unici responsabili per la certificazione delle automobili e per l’autorizzazione all’immissione sul mercato, se c’è un problema, è l’autorità che ha certificato l’auto o il modello l’unica che può agire», ha ricordato ieri la Caudet.

Anche perché l’attuale ordinamento non permette alla Commissione niente di più che un lavoro di pura mediazione tra i governi, consentendo al massimo azioni nei confronti di singoli stati nel caso si riscontrino violazioni alla legge comunitaria in materia. Quindi nessuna possibilità di agire direttamente sulla casa costruttrice. Almeno fino a quando non verrà approvata la proposta avanzata dalla stessa Commissione dopo lo scandalo delle emissioni Volkswagen e che prevede una rivoluzione dei metodi di certificazione delle auto nell’Union oltre a introdurre una maggiore possibilità di azione per la Commissione, inclusa quella di comminare sanzioni fino a 30 mila euro per auto, sia al costruttore che ai servizi tecnici. «Rivolgo un chiaro invito al parlamento europeo e al Consiglio ad adottare la nostra proposta rapidamente», ha concluso la Caudet.

Per quanto riguarda infine le eventuali sanzioni nei confronti della Fca, ammesso che vengano accertate delle responsabilità, gli analisti si mostrano alquanto incerti. Sia su come si concluderà la vicenda, sia sui costi che l’azienda italo-americana potrebbe sostenere. Tutti comunque ritengono molto «improbabile» che al gruppo possa essere comminata la sanzione massima, prevista in 44.539 dollari per auto (quelle coinvolte negli Stati uniti sarebbero 104 mila) per un totale di 4,63 miliardi di dollari. Anche perché Fca sembra determinata a voler dimostrare la correttezza dei propri comportamenti.l.l.