Vera o non vera che sia la storia sulla visita alla casa della sorella del boss da lui raccontata sabato nella piazza #iostocondecaro, non si fatica a immaginarlo, Michele Emiliano, appena eletto sindaco nei primi anni Duemila, mentre ammonisce i parenti dei boss di Bari Vecchia di non rompere le scatole al suo giovane assessore Decaro che tentava di pedonalizzare la zona.

Fresco di elezione, ancora con la toga da pm cucita sulla pelle, Emiliano voleva «rivoltare Bari come un calzino» e per certi versi c’è riuscito. A modo suo, naturalmente, e quel modo in vent’anni di governo, prima in Comune e poi Regione, spesso ha deragliato dal galateo istituzionale. Che poi, a pensarci bene, l’anomalia sta a monte di tutta la storia: la legge oggi impedisce a un pm di candidarsi sindaco dove ha lavorato, ed è giusto così. Sono ruoli troppo distanti, e il rischio più frequente- al di là delle persone – è che il politico si trasformi in sceriffo, che in pratica vuol dire “la legge sono io” e la interpreto come ritengo come ritengo opportuno, magari utilizzando metodi «da sbirro», come di lui, , o anche le 50 sfumature di grigio che derivano dalla lunga esperienza a contatto coi malavitosi e con le loro famiglie.

Vulcanico, disinvolto, simpatico, capace di interloquire con chiunque dandogli del tu, formidabile nel costruire relazioni, Emiliano è un politico atipico anche per un Comune del sud abituato al rapporto diretto tra eletto ed elettore. In lui il fine giustifica quasi sempre il mezzo, l’assoluta certezza di essere dalla parte del Bene lo spinge ad andare dove altri più prudenti non andrebbero. Per lui vale al cubo la frase di Terenzio «humani nihil a me alienum puto».

È un po’ una vocazione, un po’ una furba strategia per inglobare tutti quelli che potrebbero danneggiarlo, per dare posti a tavola, convinto come D’Alema che capotavola sia dove siede lui. Convinzione in parte vera, almeno in Puglia, vista la longevità politica del magistrato che si è fatto via via totus politicus, trasformandosi in una sorta di Re Mida, convinto di poter trasformare anche pezzi della peggiore destra in compagni di viaggio, senza snaturarsi, senza perdere per strada quel suo protogrillismo di sinistra che lo fece anticipatore del M5S anche nei lati migliori, come l’istituzione del reddito di dignità antesignano di quello di cittadinanza.

E tuttavia il suo fiuto politico, venato di opportunismo, l’ha spinto a sposare varie stagioni del Pd, compresa quella renziana, salvo poi tornare sui suoi passi con una certa rapidità, fino a entrare nella lista dei possibili scissionisti del 2017 con D’Alema e Bersani, prima di mollarli all’ultimo secondo.

Fossero solo le giravolte dentro il Pd, sarebbe in buona compagnia. E invece Emiliano nei panni da governatore ha deciso che poteva permetterei di imbarcare laqualunque, anche nel senso di Cetto: di qui il proliferare nel 2020 di liste civiche a lui collegate piene di transfughi delle varie destre. Solo per citare alcuni nomi: il suo assessore alla Sanità Rocco Palese era il dominus di Forza Italia in Puglia, candidato alla regione nel 2010 contro Vendola; il coordinatore della sua civica «Con» è Michele Boccardi, ex parlamentare di Fi. Stesso percorso per Pasquale Di Rella, candidato sindaco a Bari del centrodestra nel 2019.

E poi Francesco Schittulli, anche lui aspirante sindaco nel 2014, e Massimo Cassano, ex senatore Pdl. Fino a Pippi Mellone, sindaco di estrema destra di Nardò (con un passato vicino a CasaPound) , che nel 2017 sostenne Emiliano mandando i suoi a votare alle primarie per il leader Pd, e nel 2020 fece lo stessp nella corsa a governatore. E che di dire di Giacomo Olivieri, nominato dall’allora sindaco Emiliano nel 2012 a capo della Multiservizi di Bari e ora ai domiciliari nell’inchiesta «Codice interno», che ha portato a 130 arresti e ha fornito l’occasione alle destre, tramite Piantedosi, di chiedere lo scioglimento del Comune per mafia.

Sua moglie Maria Carmela Lorusso, altra indagata eccellente, consigliera comunale eletta col centrodestra e poi passata dall’altra parte, nella lista che fa riferimento all’assessore regionale Anita Maurodinoia, anche lei sotto le lenti dei magistrati nella stessa inchiesta per presunto voto di scambio.

Garantismo impone di pensare che tutte queste persone abbiano fatto il “salto” per ragioni politiche, forse non per aver aderito agli ideali del socialismo ma in perfetta buonafede. E che tutti gli indagati sono innocenti fino a condanna definitiva. «Agiremo, se sarà il caso, quando avremo le carte in mano. Non possiamo certo intervenire sulle suggestioni», ha detto Emiliano parlando della sua assessora, fortissima nelle preferenze alle ultime regionali. «Se non raccogliessi a destra, con Pd e M5S da soli non vincerei le elezioni», ha spiegato in più occasioni.

Il suo assessore al personale Gianni Stea, anche lui con un passato in Fi, propone di allargare la squadra anche alla Lega, e non è un mistero neppure che il governatore con Salvini vada d’accordo. Uno in più a ballare la Taranta, che male fa? «Emiliano è lungimirante e allarga, ci sa fare», le parole di Stea (l’indagine su di lui per promessi incarichi è stata archiviata). Il governatore non ha mai fatto mistero del suo feeling speciale con Silvio Berlusconi, cementato dall’amore di molti baresi per il defunto Cavaliere.

Lui spiega che con questa accozzaglia, quasi una forma di bulimia politica, ha potuto fare cose di sinistra, come la recente decisione sull’acquedotto pugliese che deve restare pubblico. Il fine sempre davanti ai mezzi. Come quella storia di Bari Vecchia, di vent’anni fa: «A Decaro non lo dovete scocciare».