Scendendo dalla piazza del Forum, il centro turistico di Arles – la piazza, per intenderci, con il famoso caffè giallo ritratto da Van Gogh – si imbocca una strada minuscola, dove improvvisamente la presenza di bar e caffè sembra interrompersi. C’è solo un ristorante scuro, quattro sedie fuori per fingere di attrarre turisti e curiosi, un nome spagnolo (non certo una novità, da queste parti). El Paseo, La Corsa. La sala dentro è buia, con tre enormi teste di toro a dare il benvenuto ai clienti.

Mentre la Francia passa le notti in piedi per protestare contro la legge El Khomri, e manifestazioni si annunciano anche al sud, dove fra Tolosa e Marsiglia la risposta della polizia è stata violenta fin dall’inizio, Mario Leal cerca di far sopravvivere il suo bar. Tapas, insalate varie (ce n’è una italiana che assomiglia alla caprese) e paella la domenica. L’estate tutti i giorni, però. Con i frutti di mare fatti venire dalle coltivazioni di Bouzigues, una garanzia da queste parti. Il locale l’ha aperto cinque anni fa, insieme alla sorella, dopo venticinque anni passati nella arene di tutto il mondo, a “matare” tori selvaggi.

«La situazione era troppo dura per me. Venticinque anni… e non riuscivo ad avere una vita familiare». La famiglia di Mario è una famiglia di toreri. Da cinque generazioni, dice lui. Nonno, padre, nipoti e ora anche un pronipote di dieci anni, appena iscritto alla scuola di Arles. «È la scuola migliore di Francia. A Madrid ci prendono in giro, credono che solo loro sanno formare i toreri. Ma non è più così. Io a Madrid ci ho combattuto, all’arena principale, davanti a ventiduemila spettatori. Ero un torero di prima categoria. Ma qui a Arles ce ne sono quattordicimila, di spettatori. E l’arena è molto più piccola, li senti addosso. A Nîmes dodicimila. È quasi la stessa cosa. Però nell’arena di Madrid è tutto più grande, in questo hanno ragione in Spagna. E il bar l’ho fatto costruire come quell’arena: ci sono le entrate numerate, le tre teste di toro che rappresentano i tre toreri che si esibiscono per ogni spettacolo». All’interno del locale le immagini sembrano ripetersi all’infinito, come un gioco di specchi, fra fotografie che dagli anni Sessanta arrivano fino ad oggi. Dei sette fratelli di Mario, sei sono toreri e si somigliano tutti moltissimo. E le quattro sorelle hanno sposato altri toreri, quindi la famiglia si è allargata.

Un’immagine in bianco e nero attira la mia attenzione. Un’arena dalle forme razionali, una scritta in francese e in arabo. Quella è l’arena di Orano, mio nonno ci ha combattuto. Ma c’erano arene anche ad Algeri e a Parigi, almeno fino agli anni Trenta». È un’arena più volte descritta da Camus, che a Orano era nato e aveva passato la giovinezza, e che ritroverà la stessa atmosfera, in scala maggiore, nella Plaza de Toros di Madrid, vedendo nell’arena la metafora del mondo: i posti più cari all’ombra, quelli popolari al sole, e lui a metà strada tra la miseria e il sole».

A Parigi, soprattutto negli ultimi decenni dell’ottocento, si combatteva in diverse arene, fra cui la celebre Gran Plaza de Toros del Bois de Boulogne, nel sedicesimo arrondissement, oggi sede della borghesia più ricca della capitale francese. La statua in bronzo dorato di Paul Jouve, al Trocadero, ricorda oggi quella storia. L’ultima corrida venne combattuta in piena seconda guerra mondiale, nel 1942.

«Ora di arene ce ne sono sempre meno, la Francia ha spostato tutte le corride verso il sud, verso la parte spagnola del paese». È il fiume Rodano che attraversa Arles la linea di demarcazione fra l’influenza italiana e quella spagnola del sud della Francia, e le arene sono tutte al di qua, con pochissime eccezioni come Fréjus, vicino a Cannes. Il nonno di Mario era un pied-noir di Orano, prima spagnolo, poi “francesizzato” durante la seconda guerra mondiale, infine trasferito con la famiglia nel sud della Francia dopo la guerra civile e l’indipendenza algerina, nel 1963. Gran parte del sud della Francia è costituito dai pieds-noirs, i francesi installati in Africa durante la colonizzazione, interi quartieri a Nîmes e a Montpellier sono stati costruiti per loro negli anni Sessanta, al ritorno dalle colonie. Insieme alle migliaia di harkis (algerini che scelsero di combattere per la Francia durante la guerra civile algerina), giunti anch’essi all’indomani dell’indipendenza algerina, i pieds-noirs costituiscono uno dei grandi bacini di voti del Front National, che in queste zone spopola, sopra al quarantacinque per cento alle ultime regionali.

E non sono pochi, fra i pieds-noirs, gli spagnoli e gli italiani in seguito assimilati. Mario la Spagna la conosce bene, ci ha fatto più di duecento corride, e altrettante in Sudamerica. «A Città del Messico c’è l’arena più grande, quarantatremila spettatori, ma quelle più calde sono in Colombia. Lì il pubblico praticamente entra dentro, non ci sono barriere, è pericolosissimo, anche se i tori sono più piccoli, mi ricordavano i vitelli di quando ho cominciato. Io sono abituato a stare solo con il toro, troppa gente mi mette l’ansia». È per questo che Mario ha partecipato solo parzialmente alle affollate manifestazioni che nel 2014 hanno visto protagonisti gli «intermittens du spectacle», i lavoratori dello spettacolo, che in Francia sono più di 250 mila e al cui settore i toreri sono affiliati. La riforma Valls proponeva di considerare di meno, ai fini della disoccupazione e della pensione, le ore di preparazione degli spettacoli, rinforzando le misure di austerità che avevano portato all’annullamento del Festival di Avignone nel 2003. Questa volta il governo francese ha agito d’anticipo: il padronato avrebbe voluto sopprimere direttamente il loro statuto, così le concertazioni sono iniziate ad agosto, per evitare scioperi mediaticamente pericolosi.

«Io avevo già il bar, sinceramente tutto il movimento mi sembrava lontano. Ho partecipato ad una manifestazione a Nîmes, a una a Montpellier (un festival di Montpellier è stato il primo evento toccato dagli scioperi), nient’altro. Ma i miei fratelli sì, loro sono andati a tutte le manifestazioni, anche a quelle di Parigi. Ora bisogna fare quarantacinque corride l’anno per avere la disoccupazione, ti rendi conto? Quarantacinque corride. Con i tempi che corrono, è un miracolo trovarne trenta, e poi bisogna spostarsi, prendere aerei, pagare alberghi, trovare posti per allenarsi».
C’è un minimo sindacale in Francia per la corrida: diciassettemila euro. Una cifra frutto di una dura negoziazione, diversi anni fa, fra i rappresentanti sindacali e il governo. Ma ovviamente non è solo il torero che incassa i soldi: di solito un torero di prima categoria ha un agente (anzi l’agente sarebbe obbligatorio nelle prime due categorie, solo nella terza – formata più che altro da amatori o semi-professionisti – il torero può contrattare da solo), al quale va una percentuale dell’incasso. Inoltre vanno tolti i soldi del viaggio, del pernottamento e del vitto, oltre a quelli per l’allenamento, il corredo e gli spadini. Chiedo a Mario quanto guadagni realmente, al netto delle spese, un torero di prima categoria in Francia. «Oggi quasi tutti gli organizzatori, a meno che tu non sia un torero famoso, propongono il minimo sindacale, e poiché bisogna arrivare a quarantacinque corride l’anno per avere la disoccupazione, e non è per niente facile, accettano tutti. Tolte le spese, dopo una corrida al torero rimangono in mano dai mille ai duemila euro, ma so anche che c’è chi ha combattuto per due o trecento euro netti, praticamente un rimborso spese».

È per questo che molti toreri oggi stanno cercando di rivendersi altrove: nel sud della Francia, per esempio, la corsa camarghese ha una grande tradizione, anche in questo caso si tratta di una sfida fra l’uomo e il toro selvaggio. Il torero, a mani nude e con una semplice divisa bianca, deve riuscire a prendere una coccarda dalla testa del toro. È preferita dagli animalisti perché nessun animale viene ucciso, ma è altrettanto pericolosa della corrida. E c’è anche un altro mercato che si sta sviluppando, sempre a causa della crisi.
«Oggi le vedette, le poche star rimaste nella corrida, si mangiano tutto. Anche in prima categoria, dove ho combattuto per anni, non si riesce più davvero a sopravvivere». C’è un immaginario comune sul torero, per il quale dobbiamo moltissimo ai romanzi di Hemingway e Sepulveda e ai film di Almodovar, che ce lo descrive come coraggioso, seduttore, che sfida il pericolo e la morte ad ogni incontro. Poi c’è la vita reale, il precariato, le lotte sindacali e i rapporti spesso difficili fra gli intermittents du spectacle dei diversi settori. È per questo che molti toreri oggi si guardano intorno, cercando remunerazioni più consistenti. «I toreri non lo ammetteranno mai», confida Mario, «ma anche da noi è cominciato negli ultimi anni un mercato nero. Come nella boxe». È un mercato ancora piccolo, ovviamente nascosto, gestito dai nuovi ricchi che negli ultimi anni si sono installati nella Francia meridionale, dalla Costa Azzurra fino alla Linguadoca. Si tratta di corride private, divertimenti per milionari all’interno dei propri possedimenti. Una versione aggiornata di tanti combattimenti clandestini, con annesse scommesse, puntate e conseguente giro d’affari. Nell’ambiente se ne parla pochissimo, ovviamente, e domando a Mario se è anche per questo che ha deciso di ritirarsi.

«Ero stanco, dopo tanti anni. Viaggi, spostamenti, adrenalina. Tutto troppo faticoso». Ad un certo punto la paura più grande non era più essere ferito da un toro, ma di non avere neanche la pensione. Ora dal suo bar continua a seguire le imprese e le lotte sindacali dei fratelli, attivi anche contro la legge El Khomri. «Prima pensavo che volessero far scomparire i toreri. Ma penso che l’idea di base sia di far scomparire lo statuto degli intermittents du spectacle». Meglio la paella, alla fine. Anche se per turisti.