Quel che accade in Francia, in Siria e ora, in Italia, con la liberazione di Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, le due ragazze italiane rapite sei mesi fa, ci chiama direttamente in causa. Perché porta in superficie le vene appena sottopelle della nostra storia. Noi siamo ostinatamente, radicalmente contrari all’uso della guerra come mezzo d’offesa, d’imperio e di risoluzione delle crisi internazionali, e restiamo convinti che chi fa la guerra innesca comunque e dovunque un effetto boomerang, almeno di ritorno. Che Hollande non vede.

Diviso tra funerali e invio di portaerei, proclami ai milioni di francesi musulmani su «liberté, egalité e fraternité» e perpetuazione degli interventi coloniali. Siamo altresì il giornale che per primo in Italia ha subìto, nel 2000, in apertura del nuovo millennio, un attentato integralista (l’attentatore era cattolico di destra – lo soccorremmo ferito). E nel 2005 in Iraq venne rapita Giuliana Sgrena, la nostra inviata non «di guerra» ma «contro la guerra».

Dunque rivendichiamo non a sproposito lo spirito che ci anima – forse «riprendiamoci il manifesto» vuol dire anche questo – di fronte allo scatenarsi di una vergognosa campagna contro il pagamento del riscatto che sarebbe stato versato ai carcerieri jihadisti delle due ragazze italiane alla fine libere probabilmente anche perché stavolta, sul campo, non c’era un marine come Lozano «dimenticato» ad un posto di blocco micidiale che alla fine uccise il salvatore Nicola Calipari. Una campagna stampa vergognosa che sembra fare il paio con il fatto che Greta e Vanessa sono subito diventate il fiore all’occhiello del governo Renzi che, al contrario, dovrebbe spiegare perché è coinvolto in quella guerra.

Ribadiamolo invece. Se si tratta di difendere la vita umana e la pace, allora bisogna sempre trattare e sempre contrattare. Se è vero che, secondo i dati ufficiali della Nato la spesa militare italiana ammonta in media a 52milioni di euro al giorno e per il Sipri equivale invece a oltre 70milioni di euro al giorno, meglio impegnare soldi per liberare vite umane che negli armamenti.

Ma dicono i fogliacci di destra al servizio dello scontro di civiltà, così «si danno soldi ai jihadisti». Il fatto è che proprio questo chiama in causa, con i media, il ruolo dei governi europei e dell’Italia – Renzi in questi giorni sta pensando ad un nuovo intervento militare «umanitario» in Libia – e rende evidente la natura delle interferenze occidentali nella deriva delle «primavere arabe». Diciamo questo perché, non contenti del disastro provocato il Libia diventata ormai il santuario dello jihadismo mediorientale, nella scellerata coalizione degli «Amici della Siria», l’Europa e gli Stati uniti insieme alle «democratiche» quanto integraliste petromonarchie sunnite ha attivato ingenti finanziamenti finiti sia all’opposizione moderata earmata siriana, ma anche al gruppo qaedista Al Nusra. Un’ambiguità motivata per abbattere il regime di Assad, e per la quale ora «rimediamo», con pochi fatti, sostenendo l’opposizione armata dei «terroristi» kurdi il cui leader Ocalan abbiamo consegnato alle galere dell’atlantica e islamista Turchia.

Bene abbiamo fatto a pagare per liberare le due ragazze che, è giusto ricordarlo, sono andate in Siria – un po’ irresponsabilmente – ma a soccorrere con aiuti umanitari l’opposizione moderata siriana, anch’essa in armi e ormai azzerata dal protagonismo della numerosissima galassia jihadista che, con il Califfato, è dilagata dal fronte siriano in Iraq e ora in Libano. Loro sono corse in Siria come tanto giornalismo «di guerra» che baciava la bandiera dei combattenti anti-Assad per poi scoprire, dopo avere subito angherie e ricatti, fino al sequestro violento, che si trattava invece di «demoni dell’inferno».

È lo stesso giornalismo che vanta la superiorità del mondo occidentale ma dimentica che appare ancora ai musulmani delle periferie mediorientali ed occidentali come quello di Abu Ghraib, della strage di Bagram, dei raid Nato sui civili afghani, di Guantanamo, dei massacri a catena del governo israeliano a Gaza. L’unico simulacro residuo sembra rappresentato da quel che resta della Chiesa e della religione cattolica, che con le altre monoteiste ha non poche responsabilità «crociate». Con un nuovo papa dal passato non chiarissimo, ma che unico si è opposto alla guerra a tutti i costi che voleva scatenare l’Occidente a guida Usa in Siria. E che comunque rincorre le improbabili ragioni delle religioni – ieri Bergoglio ha attaccato le «ideologie che distruggono la famiglia» – difendendole tutte dalle «offese» di vignette satiriche che giornali laicissimi come quelli statunitensi si sono rifiutati di pubblicare. Fino all’affermazione poco cristiana, che «se insultano mia madre io gli dò un pugno». Altro che «porgere l’altra guancia».

Difendere la libertà di quelle vignette e la memoria dei 10 redattori uccisi e delle altre vittime di Parigi, deve voler dire essere oltre le religioni per rispondere alle domande di senso che emergono dalla crisi dell’Occidente; e fino in fondo contro la guerra e contro il terrorismo asimmetrico che ne deriva. Questo è il vero insegnamento. Non quello autoreferenziale che «la satira non ha limiti». Siamo al fondamentalismo satirico? Perché il limite c’è: è la forma, cioè il contenuto dello spazio umile della vignetta. L’ultima edizione insanguinta di Charlie Hebdo, tirata e venduta in 5 milioni di copie, aveva vignette non proprio bellissime. A noi Plantu piace di più. E poi non dimentichiamo che sono state copiate ed importate dal giornale danese Posten, di destra e xenofobo. Non basta applicare lo stilema del disegno antisemita all’Islam e alla religione cristiana per avere un punto di vista laico o ateo che sia.

Il limite è lo stile. E fa la differenza.