Il ministro degli esteri italiano Paolo Gentiloni ha riassunto perfettamente la situazione per quanto riguarda le indagini sulla morte del ricercatore italiano Giulio Regeni: «A quanto risulta dalle cose che ho sentito sia dall’ambasciata sia dagli investigatori italiani che stanno cominciando a lavorare con le autorità egiziane, ha specificato, siamo lontani dal dire che questi arresti abbiano risolto o chiarito cosa sia successo. Credo che siamo ancora lontani dalla verità».

Gli arresti ai quali si riferiva il ministro nella serata di venerdì, per altro, sono già stati smentiti. Fonti al Cairo sostengono si trattasse in realtà di due fermati per sospetti neanche troppo verificati. Infatti le due persone fermate, che potrebbero anche non avere collegamento alcuno alla morte di Regeni, sarebbero già state rilasciate. La situazione è particolarmente confusa e difficile per vari motivi. Innanzitutto per questioni di natura politica hanno a che vedere con la situazione generale del paese, poco propenso – forse – a cercare davvero la verità.

Se Regeni fosse davvero morto in seguito all’impunità di cui godono in Egitto i servizi di sicurezza, si finirebbe per mettere in discussione i loro metodi e le loro modalità di azione. Il secondo aspetto riguarda la natura delle indagini in corso. La Procura e la polizia del Cairo hanno già dimostrato poca capacità collaborativa, essendosi espressi in rapida successione in modo differente riguardo le cause e le dinamiche sulla morte del ragazzo italiano: per la Procura, il corpo di Regeni avrebbe mostrato i segni delle torture, confermate in un’intervista di ieri sul Corriere della Sera all’ambasciatore italiano al Cairo, Maurizio Massari, la polizia, invece, ha perfino provato a motivare il decesso a causa di un improbabile incidente stradale.

A loro si sono affiancati i sette investigatori italiani che avranno il compito di tenere alta l’attenzione sulle indagini e coordinare il lavoro con il team italiano a Roma. Qualcosa è già trapelato a dire il vero, perché ieri alcuni quotidiani riportavano il sospetto degli investigatori italiani sul fatto che Giulio Regeni possa essere stato torturato e poi ucciso perché in possesso di nomi e fonti cui i servizi di sicurezza sarebbero stati interessati. Ipotesi confermata dalle prime indicazioni autoptiche, secondo cui la morte dell’italiano sarebbe stata causata da «prolungate torture».

Anche a Roma si procederà a cercare di capire cosa è successo. Un primo momento di grande importanza arriverà in seguito all’autopsia (dalle prime indiscrezioni, Giulio sarebbe stato ucciso solo cinque giorni fa) che potrebbe rivelare le reali cause della morte di Giulio Regeni e permetterà di verificare se davvero il ragazzo italiano è stato torturato come emerso nei giorni precedenti.. Ieri è arrivata intanto la conferma dal servizio di medicina legale egiziano, che avrebbe «cominciato a esaminare campioni prelevati dal corpo» di Giulio Regeni.

«I rapporti definitivi saranno completati alla fine del mese in corso» secondo quanto annunciato nella serata di ieri dal ministro aggiunto della Giustizia per la medicina legale egiziano, Shabane el Shami. I medici legali hanno prelevato «campioni per il dna e campioni di diverse parti del corpo per esaminarli», ha riferito il sito dell’autorevole quotidiano Al Ahram citando la dichiarazione del viceministro.

Nel frattempo dall’Egitto le notizie che si sono succedute confermano un clima di grande tensione tra gli attivisti e chi risulta sgradito al regime del generale Al Sisi, della cui natura solo ora molti sembrano essersi accorti. «Diversi amici e colleghi» di Giulio Regeni – secondo quanto emerso – sarebbero stati «interrogati allo scopo di arrivare a qualsiasi prova che possa portare a risolvere questo enigma».

In particolare si tratta di capire il percorso esatto e i luoghi frequentati da Giulio Regeni prima di sparire. C’è da chiarire se effettivamente stava recandosi a una festa di compleanno o meno. Circostanze tutte da verificare e che stanno ponendo all’attenzione della polizia persone che si presume possano aggiungere particolari rilevanti per le indagini, posto il sospetto che le ricerche effettuate dalla polizia egiziana siano davvero incentrate a scoprire la verità sulla morte del ricercatore italiano.

Il team italiano – intanto – dopo essere arrivato al Cairo avrebbe «incontrato ufficiali dell’Interpol e della sicurezza nazionale per esaminare le inchieste e le indagini effettuate» finora dopo il rinvenimento del corpo del giovane ricercatore italiano. Scopo dell’incontro sarebbe stato quello di «coordinare le ricerche e assicurare tutta l’assistenza tecnica necessaria a svelare il mistero».

Ieri al-Masry al-Youm, un quotidiano locale, citava fonti della Direzione della sicurezza di Giza che smentiscono la notizia degli arresti. Secondo il giornale, tutte le fonti avrebbero parlato a condizione di anonimato, perché il governo ha vietato alla polizia di rivelare alla stampa informazioni sulle indagini. Le fonti hanno aggiunto che una squadra di 35 funzionari è impegnata a lavorare sul caso e che non si esclude alcuna pista, neanche quella di possibili tentativi di «gruppi di estremisti» di sabotare le relazioni tra l’Egitto e l’Italia.