L’apparato del partito democratico americano ha una poco invidiabile tradizione di inettitudine nella scelta dei candidati alla presidenza: per esempio, nel 1988 scelse un timido governatore di origine greca proveniente dal Masschusetts, Michael Dukakis; nel 2000 il legnoso vicepresidente in carica Al Gore; nel 2016 l’antipatica Hillary Clinton. Quindi non è sorprendente che quest’anno abbiano scelto Joe Biden, malgrado l’età e la relativa impopolarità.

Gli elettori preferiscono i repubblicani su questioni chiave come l’inflazione e l’immigrazione. Non bisogna sottovalutare i segni mandati dagli dei: occorreva un indovino per capire che porta male scegliere Chicago come sede della convenzione 2024? C’era bisogno di assumere Cassandra alla Casa bianca per capire che se le università sono occupate e sgomberate dalla polizia a sei mesi dalle elezioni le cose si mettono male? La volta precedente fu nel 1968, ci fu una settimana di scontri fra manifestanti contro la guerra e polizia, fu scelto l’innocuo Hubert Humphrey e il repubblicano Richard Nixon vinse in novembre.

Ma nel suicidio politico che sta andando in scena sotto i nostri occhi le questioni fondamentali stanno altrove: tra gli elettori di età compresa tra i 18 e i 34 anni il disinteresse per le prossime elezioni è stupefacente: solo il 36% di loro dichiara di essere “molto interessato”. Quindi il 64%, quasi due terzi, dei giovani americani non andrà a votare o voterà per un candidato di protesta, per esempio quel Robert Kennedy che era un ambientalista rispettato prima di diventare no vax.

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Il problema sta nel fatto che la coalizione democratica ha bisogno, per eleggere qualsiasi candidato, di tre gruppi fondamentali: le donne, gli afroamericani e i giovani. Le donne presumibilmente voteranno perché il tema dell’aborto sarà al centro della campagna elettorale. Gli afroamericani potrebbero votare democratico, come sempre, ma in quanti lo faranno non è chiaro: l’interesse per questa elezione è più basso rispetto a qualsiasi altra elezione presidenziale negli ultimi 20 anni. Solo il 64% degli americani ha dichiarato di essere fortemente interessato alle elezioni, rispetto al 77% del 2020. E sono le minoranze etniche e i poveri che si sentono più marginalizzati dal sistema politico, quindi non votano.

Restano i giovani: l’entusiasmo, la mobilitazione, il lavoro di convincimento porta a porta li fanno i giovani. Quest’anno perfino il New York Times si è accorto che «è difficile entusiasmarsi per candidati che hanno mezzo secolo più di noi». In questo momento, però, l’età di Biden non c’entra: sono le stragi israeliane a Gaza che indignano gli universitari americani. Le mezze dichiarazioni di dissenso verso Netanyahu poco valgono di fronte al continuo rifornimento di bombe a Israele. Le macerie si vedono, i corpi dei bambini morti si vedono, i volti delle donne che si aggirano disperate perché non possono nutrire i loro figli si vedono. Oggi i giovani americani piantano le tende all’università o assediano la casa del senatore Chuck Schumer, a novembre forse non voteranno per Trump ma sicuramente non voteranno per Biden.

L’arroganza dell’apparato del partito democratico ha qualche giustificazione: come si può perdere contro un candidato repubblicano che non solo ha quattro processi in corso ma, letteralmente, potrebbe ritrovarsi in galera nel momento in cui voi finite di leggere questo articolo? In queste ore ci sono riunioni ufficiali in cui si discute di cosa deve fare il Secret Service se Trump viene arrestato. Per legge ha diritto alla protezione in quanto ex presidente: gli agenti lo seguiranno, sistemandosi nelle celle vicine?

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I consulenti politici che gestiscono la campagna elettorale dovrebbero però sapere che la maggior parte dei sostenitori di Donald Trump non sono parte del suo culto della personalità: voteranno per lui perché sono conservatori che condividono le politiche del partito repubblicano e pensano che Trump sia un leader più deciso di Biden. Questo è ciò che salta all’occhio nei sondaggi, che danno i due candidati alla pari, o Trump in vantaggio, nonostante i problemi giudiziari dell’ex presidente fellone, che cercò di rimanere al potere con la forza nel gennaio 2021.

Biden è stato un presidente attivo in politica interna, ha cercato di migliorare le condizioni di vita di milioni di americani, come a suo tempo Lyndon Johnson. Come Johnson, però, è un uomo della guerra fredda, incapace di rompere con una visione del mondo militaristica. La sua amministrazione ha attizzato il conflitto con la Cina, sabotato ogni possibilità di accordo con la Russia, seguito supinamente Israele nella sua corsa alla guerra permanente e infine minacciato l’Iran. Anche se oggi, al contrario del 1968, non ci sono ragazzi americani che muoiono nella giungla, le conseguenze di queste politiche si vedono ogni sera sugli schermi televisivi. E non sono di buon auspicio per le sorti dei candidati democratici in novembre.