I keynesiani di una volta erano pessimisti sul mercato e ottimisti sui governi. Gli ortodossi di oggi sono ottimisti sui mercati e pessimisti sui governi. I marxisti di ieri e di oggi sono pessimisti su mercato e governi. Il che spiega perché talvolta si trovino fianco a fianco con gli ortodossi a criticare i governi o meglio, in senso lato, le istituzioni economiche cioè, in senso stretto, la Banca centrale europea.

L’euro non tanto fu disegnato male, come sostengono gli economisti anglosassoni, quanto fu un cattivo compromesso dilatorio tra chi pensava che la BCE dovesse diventare prima o poi come la FED e quelli che, seguendo Hayek, pensavano che una moneta senza nessun governo fosse il massimo. E all’inizio la BCE fu gestita di conseguenza; risolutamente non interventista. Non a caso la sua azione nei primi anni di una crisi paragonabile solo a quella del ’29 fu molto più timida di quelli della FED e delle banche centrali di Giappone e Inghilterra.

Il cambio di direzione, da Trichet a Draghi, avvenne a fine 2011, per una singolare coincidenza, dentro a una crisi dell’euro che, in seguito agli attacchi mondiali ai debiti sovrani dei Piigs, avrebbe anche potuto far esplodere l’area monetaria europea, e l’Europa stessa. Per la prima volta dalla fondazione la Presidenza della BCE assunse il ruolo di banchiere centrale. Ruolo assunto in chiara, per quanto implicita, polemica con la posizione della dirigenza europea, in cui dominava la visione liberista estrema sul debito: i paesi indebitati si devono svenare fino a che non convinceranno i mercati a rifinanziarli; e non bisogna assolutamente intervenire prima.

Annunciare un intervento monetario per sostenere «l’irreversibilità» dell’euro, come fece Draghi nel luglio 2012, equivaleva a sostenere che la linea del rigore fiscale ne stava minacciando la sopravvivenza, e bisognava invece intervenire. La cosa piacque pochissimo alla destra europea e tedesca, che portò la misura della BCE (con la malconsigliata cooperazione di deputati di sinistra) davanti alla Corte costituzionale tedesca, e poi alla Corte suprema europea. Di recente questa ha stabilito invece che le misure di Draghi sono da ritenere nell’ambito del compito di banchiere centrale europeo di difesa della moneta.

(Detto sommessamente: è vero, ma a Maastricht si erano dimenticati di scriverlo).

La stessa decisione di effettuare un quantitative easing, cioè un massiccio finanziamento dell’economia via acquisto di titoli di Stato, è implicitamente polemica con la linea ufficiale. Equivale di fatto a dire: è stata decisa un’austerità che ha messo a rischio l’euro, e la Banca centrale ha dovuto intervenire. L’espansione strombazzata (l’austerità ‘espansiva’ di Alesina) non si è vista e, stante il mantenimento di politiche fiscali restrittive, l’unico strumento espansivo disponibile è quello monetario. Non è proprio un’esaltazione della linea ufficiale; ed infatti è stata ed è duramente osteggiata dalla Bundesbank.

È giusto avere dei dubbi sull’efficacia di questa misura; sia per la discutibile teoria economica che la sostiene, sia per fatti noti: la lenta ripresa USA, solo grazie a un prolungato «QE», la bolla immobiliare inglese conseguente a un’analoga misura, la schizofrenia tra ripresa produttiva e effervescenza delle borse. In seguito al «QE», si pensa che le banche europee si libereranno di titoli di Stato e di crediti inesigibili, guadagnando spazio per finanziare esportazioni, si spera in crescita grazie all’indebolimento dell’euro e anche di investimenti, la cui ripresa resta però dubbia per via della domanda depressa in seguito al permanente rifiuto di uno stimolo fiscale. E quindi resta in forse l’effetto complessivo del «QE».

Tutto ciò è vero.

Ma sarebbe sbagliato, penso, sottacere la durezza della polemica che questa proposta ha innescato. Di fronte alle accanite resistenze ad attuarla, e di fronte alla ripetuta lamentela che così si allenterebbe la sferza del debito sui paesi indebitati, disincentivandoli dalle riforme, Draghi ha risposto che non è compito della Banca centrale premiare o punire. La Banca centrale deve salvare l’euro, e l’economia europea; entrambi messi in pericolo dalla linea ufficiale (è implicito; ma se così non fosse non dovrebbe intervenire).

Cosa volete che dica di più un Presidente di BCE ai rigoristi europei? Che li insulti?

Questo non fa di lui un Presidente della BCE di sinistra (come ampiamente noto dalla ripetutamente citata intervista al Wall Street Journal del gennaio 2012). Non sarebbe lì se lo fosse. Ma un Presidente che si smarca dalla posizione «punitiva» sul debito cara alla Bundesbank, alla destra tedesca e ai liberisti estremi europei, apre spazi che a mio parere la sinistra (di governo innanzitutto, se c’è; ma anche l’altra, sempre che ci sia) farebbe bene a non sottovalutare.

Sennò li userà qualcun altro.