Ieri non è stato frustato. La nuova sessione di 50 frustate al blogger saudita Raif Badawi prevista venerdì non ha avuto luogo per motivi di salute.

Il medico ha verificato che le lacerazioni delle prime 50 del 9 gennaio non si erano ancora cicatrizzate e ha raccomandato di rinviare di una settimana. Il rinvio mostra la profonda brutalità della punizione e ne sottolinea l’oltraggiosa inumanità. L’idea che sia concesso di riprendersi per poter soffrire di nuovo è macabra e vergognosa. Le frustate sono proibite dal diritto internazionale.

Portone serrato, finestre chiuse. Per oltre un’ora è stata la scena che hanno visto giovedì le decine di partecipanti al sit-in organizzato da Amnesty International di fronte all’ambasciata dell’Arabia Saudita, con l’adesione di Fnsi e Articolo 21, per chiedere la scarcerazione di Raif Badawi, il blogger condannato a 10 anni di carcere e a 1000 frustate per aver offeso l’Islam.

A Gedda, era prevista la seconda serie di 50 frustate, crudele regalo di compleanno per il prigioniero di coscienza che ha compiuto 31 anni martedì scorso. Poi, se le pressioni (invero blande) dei governi amici di Riad non avranno effetto, la gogna proseguirà per altre 18 settimane. Sempre che Badawi sopravviva a quella che somiglia a una sorta di esecuzione capitale a puntate.

L’esperienza delle frustate, oltre a essere degradante (a maggior ragione quando, come in questo caso, avviene in pubblica piazza, di fronte a una folla festante), è devastante dal punto di vista fisico. La pelle si apre e non basta una settimana a cicatrizzare le ferite.

La prima serie di 50 frustate è stata oscurata dalla commozione mondiale per i tragici eventi di Parigi.

L’Arabia Saudita ha condannato l’attacco contro il settimanale satirico Charlie Hebdo, «colpevole» di aver offeso l’Islam con le sue vignette.

Lo stesso paese ha condannato a 1000 frustate e 10 anni di carcere un uomo «colpevole» di aver offeso l’Islam coi suoi post. Raif Badawi è un prigioniero di coscienza, il cui unico ‘reato’ è stato quello di esercitare il diritto alla libertà d’espressione fondando un sito per il pubblico dibattito, «Liberali dell’Arabia Saudita».

Il suo è un caso estremo, ma non è l’unico esempio del totale disprezzo saudita nei confronti del diritto alla libertà d’espressione. Negli ultimi anni, sono state imprigionate decine di persone che avevano chiesto riforme, promosso dibattiti, fondato organizzazioni indipendenti per i diritti umani, difeso vittime di torture e processi irregolari.

Lo stesso avvocato di Badawi, Waleed Abu al-Khair, si è visto inasprire in appello la condanna inflittagli in primo grado il 6 luglio 2014: 15 anni di carcere, di cui cinque sospesi. A causa del suo mancato «pentimento», lunedì scorso anche la sospensione è stata annullata.

Dal Canada, dove ha ottenuto asilo politico, Ensaf Haidar chiede al mondo di non dimenticare suo marito. Ha dovuto raccontare tutto ai figli, per evitare che venissero a sapere dai compagni di scuola che il papà viene frustato ogni settimana in un paese lontano.

Fino a quando la fustigazione pubblica di Raif Badawi andrà avanti, Amnesty International si presenterà di fronte all’ambasciata saudita di Roma, alla vigilia di ogni nuova sessione di frustate.

E anche qualora questo terribile castigo verrà sospeso, occorrerà proseguire la campagna per l’annullamento della condanna a 10 anni di carcere. E contro questi agghiaccianti attacchi alla libertà d’espressione.

* portavoce di Amnesty International