Si è messo in aspettativa, a 3 mesi dalla nomina, lo storico dell’arte Eike Schmidt, l’uomo al quale il ministro partenopeo della Cultura, Gennaro Sangiuliano, aveva affidato le sorti del Museo di Capodimonte. Motivi di campagna elettorale, perché ha deciso di accettare la candidatura del centro destra per le comunali di Firenze, che si svolgeranno a giugno. Qualora le urne non dovessero premiarlo, Schmidt avrà il paracadute della direzione di Capodimonte.

A Napoli non l’hanno presa bene anche perché Sylvain Bellenger, il precedente direttore del museo, era andato via a dicembre dello scorso anno, scaduto il suo secondo mandato non rinnovabile, tra molti rimpianti. Il Pd partenopeo ha fiutato l’aria e, complice l’approssimarsi delle europee, ha deciso di cavalcare l’onda. Ieri mattina, dunque, i suoi rappresentanti in città hanno organizzato i banchetti di raccolta firme per chiedere le dimissioni di Schmidt proprio davanti all’ingresso del Real Bosco di Capodimonte, affollatissimo nel sabato primaverile. Ne hanno messe in carniere 600 in tre ore, secondo il resoconto che ha diramato Gennaro Acampora, capogruppo dem in consiglio comunale: «Chiediamo al governo Meloni chiarezza sul futuro di un plesso che merita un direttore a tempo pieno, autorevole e indipendente».

Vincenzo De Luca, presidente della giunta regionale della Campania, una settimana fa aveva commentato la vicenda di Schmidt e di Capodimonte in questi termini: «È offensiva per Napoli, per la Campania e per il mondo della cultura del nostro paese». Non è la prima volta, in verità, che Sangiuliano finisce sulla graticola, negli ultimi mesi, per le sue scelte. Era accaduto già a febbraio, quando Giuseppe Cuomo, avvocato ed ex sindaco di Sorrento, che il ministro aveva gratificato un anno fa del ruolo (a titolo gratuito) di consulente per il paesaggio, è stato costretto a dimettersi repentinamente, pur non essendo indagato. È emerso che era socio in un’azienda colpita da interdittiva antimafia di un imprenditore edile condannato in via definitiva nel 2016 per illecita concorrenza aggravata dal metodo mafioso e concorso esterno in associazione camorristica.

Il caso Schmidt diventa, dunque, un cavallo di battaglia per il Pd che guarda alle europee, così come per i leghisti lo sono le eterne questioni degli interventi a favore di chi ha costruito abusivamente – attivissimo su questo fronte il capogruppo in Regione, che si chiama Severino Nappi – e gli annunci di cantieri e grandi opere. Ne ha fatti tanti l’otto aprile Matteo Salvini, quando ha parlato per un’ora nel Museo ferroviario di Pietrarsa e ha raccontato «L’Italia del sì». Ha promesso a chi lo ascoltava un futuro di «raddoppi autostradali», di milioni come se piovesse e di inasprimento delle norme sulla sicurezza stradale. Non i limiti di velocità di 30 chilometri orari nei centri urbani, dei quali è un fiero oppositore, ma l’obbligo di casco, di targa e di assicurazione per i monopattini.

La campagna elettorale in Campania, però, ruota anche intorno alla querelle dei fondi degli accordi di Coesione che il ministro Fitto non ha ancora liquidato alla Regione. Sfida a colpi di comunicati stampa e di dichiarazioni ai cronisti, ma pure battaglia giudiziaria. Venerdì scorso il Consiglio di Stato ha sospeso la sentenza del Tar favorevole alla Campania ed ha fissato l’udienza di merito per il 13 giugno. «Ciò significa – si è affrettato a diramare una nota il ministero – che non vi è stato alcun inadempimento da parte del Dipartimento per le politiche di coesione e il Sud». De Luca ha rilanciato: «Il Consiglio di Stato non ha dato ragione al Governo. Ha sospeso i termini, che è una cosa diversa». I fondi Ue sono l’arma in mano a Fdi, via Fitto, per scardinare il potere di De Luca. Dopo la Puglia, la Campania nel mirino del partito di Meloni.