Svariati giorni prima del 19 dicembre scorso avevamo chiesto di far parte della delegazione che avrebbe accompagnato nella visita al Cie di Ponte Galeria, vicino Roma, l’europarlamentare Barbara Spinelli (L’Altra Europa con Tsipras), in missione ufficiale.

Fra noi c’era chi nel 1999 aveva cercato invano di far luce sul caso di un recluso: Mohamed Ben Said, morto la notte di Natale di quell’anno, la mandibola fratturata, forse imbottito di psicofarmaci, comunque “soccorso” quand’era già cadavere.

Fin dal 1998, quando furono istituiti dalla legge Turco-Napolitano col nome di Cpt, ne denunciamo l’arbitrio e l’irriformabilità; e a questo scopo negli anni recenti siamo entrate/i più volte nei Cie di tutta Italia, anche in quello di Ponte Galeria.

Sapevamo bene, dunque, di quell’immenso carcere di massima sicurezza, con sbarre e gabbie riservate a persone colpevoli di non essere cittadini italiani e di non avere titolarità per restare in Italia. Ma entrare lì dentro è necessario, per far conoscere all’esterno brandelli di storie di vite vilipese e de-umanizzate. Per provare a raccontare la rabbia, la rassegnazione, l’umiliazione dei “trattenuti”, che gli attuali gestori chiamano, assurdamente, ospiti o addirittura utenti. Altrimenti ci si abitua alla banalità del male o si finisce per considerarla inevitabile.

In risposta alla circolare di Maroni

Fino al 2011, entrare nei Cie, dopo un’autorizzazione della Prefettura, non era impossibile. Poi, il 1° aprile, sopraggiunse la circolare del ministro Maroni, che permise l’accesso solo ai parlamentari e ai funzionari di alcune organizzazioni umanitarie, vietandolo a giornalisti, avvocati, studiosi, attivisti… Così, un gruppo di giornalisti lanciò la campagna LasciateCIEntrare, che infine portò, durante il governo Monti, alla sospensione di quella circolare.

Nel frattempo, molti Cie hanno sospeso l’attività: di tredici che erano, oggi ce ne sono cinque e con capienza ridotta. Lo scorso anno, proprio in questi giorni e proprio a Ponte Galeria, una ventina di reclusi si erano cucite le labbra per protestare contro la lunghezza dei tempi di trattenimento (allora diciotto mesi) e contro le condizioni di vita all’interno.
Solo da poco, finalmente, il governo ha ridotto a novanta giorni i tempi massimi di trattenimento, ma i Cie restano ciò che sono: strutture concentrazionarie.

Intanto, a Ponte Galeria, a quello che sin dal 2010 era l’ente gestore, l’Auxilium, il 15 dicembre è subentrata la Gepsa, un’azienda francese, coadiuvata dall’Acuarinto, che ha vinto l’appalto riducendo drasticamente i costi (29 euro al giorno per ogni “trattenuto”), ma anche il personale e i servizi garantiti. La visita programmata con Barbara Spinelli per il 19 dicembre cadeva, dunque, pochi giorni dopo il passaggio di consegne. Sicché la Prefettura, pur non negando esplicitamente l’ingresso, all’ultimo momento ci “consiglia” di spostare la visita della nostra delegazione, fermo restando il diritto di entrare dell’europarlamentare, accompagnata.

Un atto di disobbedienza civile

Così, alle 13.30 circa del 19 dicembre, Barbara Spinelli varca le sbarre del Cie, insieme con due collaboratrici e con Marta Bonafoni, consigliere regionale del Lazio, la quale riesce ad entrare appellandosi al nulla osta pervenuto dal Viminale. Mentre i reclusi sono ammassati contro le sbarre dell’ultima inferriata, che dà sul cortile della mensa e la polizia è schierata, Spinelli, compiendo un atto di disobbedienza civile, riesce a sgusciare dentro e a parlare con i prigionieri. Nel contempo, da dentro, verifica il parere favorevole della Prefettura e contratta affinché anche noi possiamo entrare. Ma una funzionaria di polizia ci comunica che lei non ha ricevuto alcuna lista per ulteriori ingressi e che a negarci l’accesso sarebbe il dottor Mancini, responsabile dell’Ufficio immigrazione della Questura di Roma: a giustificare il diniego, le difficoltà connesse al cambio di gestione.

Mentre discutiamo con lei, avendo già consegnato i nostri documenti d’identità a un milite nel gabbiotto d’ingresso, la funzionaria controbatte con una frase infelice: «Qui dentro ha cercato di entrare gente con precedenti penali. Chi ci dice che non ne abbiate anche voi?».

Insomma, per difetti di comunicazione fra apparati dello Stato e per l’indisponibilità della Questura ad accettare le richieste della Prefettura, veniamo tenuti fuori o, meglio, possiamo entrare nel cortile tramite cui si dovrebbe poter accedere al Cie. Intorno a noi, dei cani – antidroga? – rinchiusi in un furgoncino dei Carabinieri abbaiano furiosamente: anche loro, forse, esasperati per essere in gabbia. Forse sono gli stessi che, da più di un anno, sono (o erano) condotti abitualmente all’ingresso della mensa per “tener buoni” i reclusi che passavano per recarsi a mangiare.

Barbara Spinelli, Daniela Padoan e Marta Bonafoni escono più volte per tentare di trovare una soluzione. Gabriella Guido, portavoce di LasciateCIEntrare, telefona ai vari soggetti istituzionali, che negano sia stata consegnata la lista dei nostri nomi. Nell’attesa parliamo con i nuovi gestori.

Alle nostre domande sullo stato attuale del Cie, replicano che, secondo le loro regole aziendali, si possono dare informazioni solo se vagliate anche dalla Prefettura. Padoan telefona alla responsabile-comunicazione dell’”azienda”, la quale aggiunge che è d’obbligo inviare una richiesta scritta alla sede della società nonché alla Prefettura, cioè «al nostro cliente».
Come se non si trattasse di atti pubblici la cui trasparenza sarebbe d’obbligo, soprattutto al tempo di Mafia Capitale.

Un incidente o una scelta?

A tarda sera ci allontaniamo da quell’incubo di gabbie, col dubbio che la discrezionalità rispetto agli accessi non sia un incidente ma una scelta. Ribassati i costi e peggiorate, almeno per ora, le condizioni della struttura, temiamo che l’ostilità della Questura e dell’ente gestore verso visitatori “indiscreti” divenga la norma. Sicché la riduzione dei tempi di trattenimento potrebbe avere, come contraccolpo, il peggioramento, se possibile, delle condizioni di vita nel Cie. Uno dei responsabili dell’ente gestore ci dice che loro, pur non apprezzando posti simili, sono orgogliosi di gestirli: «Qualcuno deve pur farlo e noi sappiamo farlo meglio di altri». Parole che fanno venire i brividi. Anche noi non apprezziamo questi posti. Qualcuno dovrà pur darsi da fare per chiuderli definitivamente. Noi, insieme a tanti altri, cercheremo di farlo al meglio e ci riusciremo.
*** Antonello Ciervo, Stefano Galieni, Cinzia Greco, Annamaria Rivera, Giacomo Zandonini e, per solidarietà, Barbara Spinelli.