In un paese come il Portogallo dove molte persone hanno lo stesso cognome un errore di (quasi) omonimia può succedere, certo, ma se queste due persone sono il leader del partito socialista e primo ministro, António Costa e il suo ministro dell’economia António Costa e Silva, la cosa può avere degli effetti nefasti. Nel corso dei primi interrogatori nell’ambito della Operação Influencer è emerso infatti che il nome apparso nella trascrizione delle intercettazioni telefoniche della conversazione tra l’amministratore della Start Campus Afonso Salema e Diogo Lacerda Machado, consulente dell’impresa, era quello di Costa e Silva e non quello del primo ministro. Solo che, sulla base del suo presunto coinvolgimento, António Costa ha deciso di rassegnare le dimissioni.

Anche se la questione non inficia necessariamente il lavoro della magistratura, l’errore però ha delle ricadute sistemiche profonde sul sistema politico di cui si sarebbe dovuto tener conto. Sulla base di quelle accuse non ci sono state solo le dimissioni del governo, che, paradossalmente resterà in carica fino alle elezioni, ma è stato anche sciolto il parlamento. Intanto il giudice Nuno Dias Costa ha deciso ieri che le persone arrestate martedì scorso – tra cui Vítor Escária, capo di gabinetto di Costa, Diogo Lacerda Machado e il sindaco di Sines Nuno Mascarenhas – dovessero essere scarcerate, alcune con obbligo di residenza e altre sotto cauzione. E inoltre rimane in piedi solo il reato di traffico di influenze, cade quello di corruzione.

Il punto, quindi, riguarda la rapidità e soprattutto l’irreversibilità con cui certe decisioni sono state prese. Tra le prime perquisizioni, alle 5 della mattina del 7, e la dissoluzione del parlamento il 9 alle 20 sono passate solo 63 ore. 63 ore in cui si è deciso di tornare a elezioni in un contesto nel quale i contorni delle indagini erano, e sono, ancora molto vaghi e nel quale inevitabilmente si voterà più sulla base delle emozioni che non della razionalità.

Dopotutto i dubbi sul che fare erano emersi fin da subito. I consiglieri di stato riuniti nel pomeriggio di giovedì scorso per dare un giudizio sullo scioglimento dell’Assembleia da Republica si erano espressi 9 a favore e 9 contro.

Intanto dentro al partito socialista la battaglia tra una corrente più favorevole ad accordi a sinistra, guidata da Pedro Nuno Santos, e quella che guarda a destra, che fa capo a José Luís Carneiro, si è ufficialmente aperta.

In un clima molto ruvido scoppia anche il caso che colpisce il governatore della Banca centrale del Portogallo Mário Centeno. Sostiene il Financial Times che Centeno avrebbe ricevuto «un invito da parte del presidente e del primo ministro a riflettere e considerare la possibilità di guidare il governo».

Tanto basta ai partiti di destra per scatenare la polemica e chiedere le dimissioni del governatore, perché, a dir loro, accettando di guidare un governo socialista avrebbe perso le necessarie caratteristiche di indipendenza per gestire un incarico del genere. A stretto giro però il presidente della Repubblica Marcelo Rebelo de Sousa smentisce quanto detto da Centeno, il quale a sua volta ha smentito quanto scritto dal Financial Times.