Rischia di provocare un terremoto politico il ritorno in Colombia dell’ex comandante paramilitare delle Autodifese unite della Colombia (Auc) Salvatore Mancuso, dopo 15 anni di prigione negli Stati uniti per traffico di droga.

Rientrato nel paese su un volo commerciale insieme ad altri deportati dagli Usa e subito trasferito in un carcere di Bogotá sotto un rigido regime di sicurezza, l’ex leader paramilitare, uno dei più sanguinari delle Auc, ha accettato la nomina come «gestore di pace» che era stata già annunciata nel luglio 2023 dal presidente Gustavo Petro nel quadro della politica di «pace totale» promossa dal suo governo.

Si è detto pronto a dare il suo contributo all’attività della Jurisdicción Especial para la Paz, il tribunale costituito per esaminare i reati commessi dalle forze armate, dai paramilitari e dalla guerriglia durante la guerra civile colombiana. «Vengo per rispondere alle esigenze delle vittime, delle istituzioni statali e della società in generale, affinché mi permettano di farne ancora parte», ha dichiarato in una lettera diffusa al suo arrivo.

DI SICURO AVRÀ molto da raccontare: 4.071 i crimini per i quali è stato accusato, tra cui 1.116 omicidi, 2.023 casi di trasferimenti forzati e 371 casi di scomparsa. E benché assicuri di non provare alcun desiderio di vendetta e di «non avere conti in sospeso con nessuno», la sua presenza fa tremare tutti coloro dai quali aveva ricevuto appoggio: alti quadri delle forze armate, dirigenti politici regionali e nazionali, imprenditori locali e stranieri e, forse più di ogni altro, l’ex presidente Álvaro Uribe, già da lui accusato di ospitare nella sua tenuta riunioni destinate a pianificare azioni militari – in realtà massacri – contro presunti collaboratori delle organizzazioni guerrigliere, spesso e volentieri contadini inermi.

Con un unico obiettivo: «Togliere l’acqua al pesce della guerriglia», secondo la formula applicata dagli Stati uniti in Vietnam ed esportata con successo in America latina, dal Guatemala a El Salvador e, appunto, alla Colombia.

Difficili da dimenticare gli scroscianti applausi che il Congresso gli aveva riservato il 28 luglio 2004, quando, durante una sessione parlamentare, Mancuso aveva esaltato senza pudore la missione pacificatrice delle Auc nei territori parlando di «un’epopea di libertà».

Vent’anni dopo, l’ex capo paramilitare figlio di un immigrato napoletano sembra deciso a sostenere l’ambiziosissimo progetto di «pace totale» di Petro, che procede, tra alti e (molti) bassi, in mezzo a innumerevoli difficoltà.

E LO FARÀ in un momento molto difficile per il presidente, permanentemente esposto alle azioni destabilizzatrici delle destre, come indica alla perfezione il conflitto in corso per l’elezione del nuovo procuratore generale. A quasi 20 giorni dalla conclusione del nefasto mandato di Francisco Barbosa – il grande amico dell’ex presidente Iván Duque a cui si è decisamente mantenuto fedele – la Corte suprema di giustizia ha bocciato per tre volte consecutive le candidature proposte da Petro, provocando una grave crisi istituzionale nel paese.

Ma che le destre non abbiano alcuna fretta lo si capisce benissimo: nel frattempo, infatti, alla guida della procura generale resta ad interim Martha Mancera, il braccio destro di Barbosa da cui ha ereditato l’indagine – avviata proprio prima di lasciare la carica – per presunte irregolarità nel finanziamento della campagna elettorale di Petro, benché tale prerogativa spetti solo alla Commissione di etica del Congresso. Una grave rottura costituzionale che odora tremendamente di tentato golpe bianco.