Stasera a Roma le misure di sicurezza per il concerto di Bruce Springsteen al Circo Massimo saranno da stato d’emergenza. Non solo la presenza della polizia italiana sarà massiccia: ci saranno anche 700 vigilantes privati e a sorvegliare i cieli ci penseranno i droni. Anche gli americani daranno una mano, con discrezione probabilmente, anche se voci in libertà ieri sera parlavano addirittura di una improbabile presenza diretta. Anche se a controllare le misure di sicurezza il «personale diplomatico Usa» c’è andato davvero.

Se i toni dei responsabili delle istituzioni, ieri, erano volutamente e giustamente calmi, la tensione è invece altissima. E la paura che si è diffusa dopo Nizza tra la gente supera di molto quella che era stata provocata dai precedenti attentati.

Per questo il discrimine che separa le reazioni della politica italiana alla mattanza di Nizza è una parola che qualcuno metodicamente evita e che qualcun altro strilla a pieni polmoni: «guerra». Non la guerra vera, quella stavolta, a differenza del dopo Bataclan, non la chiede nessuno, non all’Italia almeno: quella evocata a scopo propagandistico, usata per innalzare ancora la tensione.

Matteo Renzi quella parola non la usa mai, neppure per indiretta allusione: «L’orrore, il dolore della Francia sono il nostro orrore, il nostro dolore. I morti di Nizza, di qualunque nazionalità, sono i nostri morti». Parole di cordoglio, non di belligeranza, anche quando il premier aggiunge che «reagire è un dovere morale». Parole misurate come quelle del capo dello Stato Mattarella: «Non cederemo mai a chi predica e pratica la cultura della morte».

Palazzo Chigi e il Quirinale tutto vogliono tranne che si scateni un’ondata di panico e di isteria xenofoba.

Anche il solo fatto che Sandro Gozi abbia parlato di nazismo islamico non è piaciuto a Renzi. La priorità sono i nervi, perché le attività di intelligence, con i cui vertici Renzi ha fatto il punto ieri, già ci sono e hanno funzionato bene.

Le ulteriori misure annunciate dal ministro degli Interni Alfano, come il rafforzamento dei controlli a Ventimiglia, servono solo a dare l’impressione di fare qualcosa, anche se è chiaro che in questo momento c’è ben poco da fare oltre a supportare e rafforzare prevenzione e intelligence. Perché «il rischio zero non esiste», come ha ammesso la ministra della Difesa Pinotti.

È sul piano politico però che la situazione, già tesa, rischia di collassare. Renzi ha convocato per lunedì mattina tutti i capigruppo parlamentari di maggioranza e opposizione, alla ricerca di una posizione unitaria almeno su questo fronte, più di ogni altro nevralgico.

Non ce la farà. La torta propagandistica è troppo ghiotta. Gasparri, per esempio scatta subito: «Incontri inutili e rituali. Servirebbero coesione ma anche realismo. Le strategie in tema di sicurezza, lotta al terrorismo e contrasto all’immigrazione sono dissennate».

Per la verità neppure Gasparri però parla di guerra. Il partito azzurro in questa faccenda sta nel mezzo: usa toni durissimi, fa il possibile per proporsi come rappresentante dell’area più incarognita e impaurita della popolazione.

Però Forza Italia non può premere sull’acceleratore sino a spingersi sulle posizioni dei potenziali alleati, ma pur sempre rivali, dell’ala estrema. Loro sì che parlano di guerra. Più precisamente strillano. Sin dal mattino Salvini non si risparmia: «Questa è una guerra dichiarata. Non si può continuare con gli abbracci e i pianti. Bisogna ritrovare orgoglio e forza». Cosa significhi non lo chiarisce. Ci pensa Giorgia Meloni: «Il fondamentalismo islamico ci ha dichiarato guerra: dobbiamo spazzare via l’Isis dalla faccia della terra e smetterla con la politica dell’accoglienza incontrollata».

Non sono parole in libertà, pronunciate nell’emozione di un momento tragico. È il programma di una campagna politica che si snoderà per mesi, e che alla fine avrà il suo peso sul voto.

L’M5S, in tutto ciò, mantiene una prudenza che quasi sconfina nella reticenza. Sono lontani i tempi in cui Di Battista si abbandonava a dichiarazioni piene di comprensione per l’islamismo radicale.

Ora, dice Di Maio, «si impone una seria riflessione sulla sicurezza e sul terrorismo». Che è più o meno come non dire niente.