«Il voto del Parlamento Ue che approva la proposta di legge europea che impone alle grandi aziende di prevenire e porre rimedio agli abusi dei diritti umani e dell’ambiente nelle loro catene di fornitura globali è un passo avanti verso la responsabilità aziendale». Il commento di Human Rights Watch riassume bene il valore del voto di ieri al Parlamento europeo che ha approvato la Direttiva sulla “due diligence” per la sostenibilità delle imprese (Csddd), una legge che rappresenta un primo passo verso filiere di produzione attente all’impatto sui diritti umani, sul lavoro e sull’ambiente; legge che le rende responsabili delle possibili violazioni.

Il voto, non proprio unanime (374 si ma anche 235 no), era atteso in una giornata significativa perché proprio ieri ricorreva l’11mo anniversario del crollo del Rana Plaza, un edifico bangladese che ospitava cinque fabbriche del tessile (una delle maggiori lavorazioni delocalizzate), in cui morirono 1.138 persone. Altre rimasero gravemente ferite e molte permanentemente invalide. È considerata la peggiore tragedia dell’industria della moda che aveva, marchi italiani ed europei compresi, proprio nel Rana Plaza alcuni suoi fornitori. Ma non c’è troppo da festeggiare.
Abiti Puliti, il ramo italiano della Campagna internazionale Clean Clothes, ricorda in un comunicato che «sebbene siano stati compiuti progressi senza precedenti per rendere le fabbriche più sicure, la brutale repressione dei diritti dei lavoratori, ancora in atto in risposta alle proteste per l’aumento del salario minimo, ha dimostrato che i marchi che producono in Bangladesh non riescono ancora a garantire il rispetto dei diritti fondamentali dei loro lavoratori e lavoratrici, impedendogli di fatto di sentirsi al sicuro». Cambierà qualcosa (oltre a quanto le aziende hanno ceduto proprio grazie alla Campagna) dopo la legge Ue?

Il testo approvato dal Parlamento coprirà in realtà solo una piccola minoranza di aziende europee, dicono ad Abiti Puliti: la legge poi, prevede tra l’altro sistemi di ricorso e risarcimento per le vittime ma non supera gli ostacoli che si incontrano nell’accesso alla giustizia nei tribunali europei: «Resta da vedere se nella pratica le vittime saranno in grado di utilizzare il meccanismo di responsabilità civile e se gli Stati membri decideranno di affrontare tali questioni durante la trasposizione del testo nel diritto nazionale», commenta Deborah Lucchetti, coordinatrice nazionale di Abiti Puliti. Inoltre il testo finale non include le fondamentali convenzioni dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Ilo) sulla sicurezza e la salute sul lavoro e lascia aperto un punto critico: esclude infatti dagli obblighi di due diligence le attività post-consumo come lo smantellamento, il riciclaggio e la messa in discarica; una «scelta anacronistica in una direttiva che mira a realizzare la cosiddetta giusta transizione».

«Questa legge rappresenta un cambiamento molto significativo per il modo in cui le grandi aziende che operano nell’Ue, compresi i marchi di moda e i distributori, dovranno ora comportarsi – aggiunge Priscilla Robledo della Campagna – tuttavia il suo impatto sarà purtroppo limitato poiché molti operatori intermedi potranno sfuggire alle loro responsabilità e continuare a operare impunemente». Ma nonostante le critiche che invitano a non abbassare la guardia (il testo finale ha tenuto conto di diversi aggiustamenti) la legge resta un passo avanti che fa dell’Unione Europea il più grande mercato globale a imporre alle grandi imprese l’obbligo di due diligence in materia di diritti e ambiente, a livello nazionale e internazionale.