Sudi, etiope, 24 anni, infermiere, arriva dalla frontiera di Ventimiglia. « Sono arrivato subito a Nizza, da lì ho preso un biglietto per Parigi. L’ho pagato 106 euro, io sono abituato a fare così. I miei soldi nutriranno la crescita dello stato francese. Ma io voglio andare a Londra, li c’è mio cugino ». Mostra orgoglioso una foto che si è fatto scattare a Pozzallo, in Sicilia, in cui porta le braccia sopra la testa e incrocia i polsi, il simbolo politico della sua etnia, gli Oromo. « Nel mio paese la mia etnia è la maggioranza, ma il governo ci discrimina. Se gli chiedi più democrazia la sua risposta è semplice: muori. Mio fratello è in prigione, la mia famiglia mi ha obbligato a partire. Mostro l’appartenenza alla mia etnia ovunque io vada, ce l’ho nel cuore. Vorrei solo che tutte le etnie del mio paese vivessero pacificamente ». Ha bruciato le tappe, Sudi: due mesi di viaggio dall’Etiopia alla Libia, in due giorni ha attraversato l’Italia e la frontiera con la Francia. « Sono stato fortunato fino ad ora, spero di continuare ad esserlo. Magari la prossima volta ci incontreremo a Londra, sarete miei ospiti, berremo un tè con la Regina ».

Mohammed: «Riuscirò ad arrivare a Londra»

Mohammed, sudanese, 20 anni ha due occhi scuri e rotondi come olive nere. E’ uno di quei migranti per cui nessun ha spazio. E’ un migrante economico. « In Sudan non avevo un lavoro, soffrivo la fame. Cosa avreste fatto al mio posto ? », interroga. Arrivato a Parigi da Calais due settimane fa, ha lasciato la jungle prima che iniziasse lo sgombero. Dorme all’addiaccio in Place de Stalingrad. Si raccoglie nella suo giaccone nero di due taglie più grande, con sguardo severo dice : «Io non voglio restare in Francia. Ho attraversato il deserto bollente, sfidato le onde del Mediterraneo per arrivare fin qui. Ho superato la paura della morte. Voglio andare a Londra, non mi farò fermare da nessuno». E’ tornato a Parigi per raggiungere degli amici e organizzare le tappe successive del viaggio. «Ci ero riuscito, io ci ero arrivato in Gran Bretagna. A giugno ho preso un treno diretto a Londra, mi sono nascosto per tutto il viaggio. Appena ho posato il piede sul territorio inglese, una pattuglia della polizia mi ha visto. Ho provato a scappare, ma è stato inutile. Mi hanno preso e rispedito indietro. Ho pianto tutte le mie lacrime».

«Insegniamo francese ai migranti»

Marie Bassi, 32 anni, docente di Scienza politica all’Università Parigi 3. Dopo una tesi di laurea su Lampedusa, oggi insegna e fa ricerca nel campo delle migrazioni. Fa parte di Baam, il «Bureau d’accueil d’accompagnement des migrants». «Il nostro rapporto con lo Stato è quello di denuncia: la politica migratoria portata avanti dalla Francia non è umana». «Teniamo lezioni tutti i giorni in 15 spazi a Parigi. Vengono tra le 50 e le 200 persone, si siedono per terra, e il corso comincia. Offriamo sostegno legale due volte a settimana sulle procedure di richiesta di asilo e registrazione». L’associazione sta mettendo in piedi un gruppo di medici solidali capaci di ricevere i rifugiati con consultazioni gratuite. «Dopo lo sgombero di Calais, abbiamo l’impressione che il campo si stia ingrandendo. Ma non abbiamo cifre precise. Il centro di accoglienza che verrà aperto non sarà sufficiente per le migliaia di persone che vivono per strada. Lo stato francese non vuole offrire soluzioni degne e accettabili. Il messaggio è: non vogliamo altri migranti».

L’attivista: «Vogliono terrorizzare i migranti»

Mickael Lagrin ha 32 anni, di Parigi. Attivista di lungo corso, segue la questione migratoria da anni, è sempre presente in Place de Stalingrad. Milita per l’accoglienza dei migranti e per la loro integrazione. Ha dormito per diverse settimane nella tendopoli. «Arrestano gli uomini e le donne soli. Quotidianamente, da tre mesi, fanno così. Bloccano la zona, prendono qualche decina di persone sulle camionette; poi distruggono l’accampamento e portano via tutto. E i migranti puntualmente vi si reinstallano». «Perché fanno questo? È la strategia del terrore, non sanno cosa fare di meglio. Il problema è che non c’è più Calais: prima tutta l’attenzione mediatica era concentrata sulla jungle. Ora tutti i media sono orientati sui campi parigini. Vogliono rassicurare la popolazione. Ma qui abbiamo quasi 2000 persone, la situazione è grave». E la politica, deve rispondere in qualche modo. «Alle persone considerate illegali che vengono arrestate dalla polizia viene ordinato di lasciare il territorio francese. Alcune finiscono nei centri di detenzione. Appena escono, tornano tutti qui. Non sanno dove altro andare».