Il decreto Pnrr approvato ieri dal Senato col voto di fiducia contiene diverse misure che riguardano la sanità. Alcune smantellano pezzi interi del Piano mirate al rilancio della sanità pubblica, scesa molto nelle priorità del governo Meloni dopo la fine dell’emergenza Covid. Il provvedimento più importante riguarda gli ospedali: l’articolo 1 del decreto sposta 1,2 miliardi di euro destinati a ammodernare le strutture sanitarie dal Pnrr e dal Fondo complementare – il cofinanziamento del Recovery Plan garantito dall’Italia – al fondo generale per l’edilizia ospedaliera. Non è solo un tecnicismo contabile. Secondo il piano originale, circa 300 interventi di ammodernamento delle strutture avrebbero dovuto essere realizzati entro il 2026 su un patrimonio ospedaliero costruito per i due terzi prima del 1970. Adesso gli interventi stralciati dal Pnrr non dovranno più rispettare le scadenze europee e di fatto sono rimandati a data da destinarsi. Lo stesso metodo era stato usato per depennare circa 400 case di comunità (su 1400) dal Piano che adesso dovrebbero essere realizzate – forse – con fondi diversi da quelli europei e con tutt’altra tempistica.

IN BASE ALL’ARTICOLO 43, invece, viene cancellata dal Pnrr anche la partecipazione dell’Italia al sistema di certificazione sanitaria digitale che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) intende realizzare. Per l’Oms, il sistema dovrebbe facilitare la continuità delle cure anche a chi è in viaggio e porta con sé il proprio fascicolo elettronico. Il governo però preferisce parlare di «green pass globale», agitando lo spettro della sorveglianza rivelatosi utile a fini elettorali già durante la pandemia. In realtà non cambierà granché. Dal testo del Pnrr sparirà il riferimento all’Oms, anche perché il green pass globale al momento non esiste. Ma il piano prevede comunque la predisposizione da parte del governo di «certificazioni sanitarie digitali, in conformità alle specifiche tecniche europee e internazionali». Se dunque verrà istituito un fascicolo elettronico europeo, difficilmente l’Italia potrà rimanerne fuori.

L’ARTICOLO 44 FACILITA l’assunzione con contratti a termine o libero-professionali dei medici specialisti e di quelli in corso di formazione nelle strutture del Servizio sanitario nazionale. Ma non parla del promesso superamento del tetto di spesa delle regioni che impedisce di assumere personale a tempo indeterminato, e che facilità il ricorso ai medici «gettonisti» cioè assunti in outsourcing a costi esorbitanti per Asl e ospedali.

Infine, sempre all’articolo 44 del decreto Pnrr è prevista la discussa norma che facilita l’ingresso nei consultori delle associazioni anti-abortiste, pardon, dei «soggetti del Terzo settore che abbiano una qualificata esperienza nel sostegno alla maternità». È una norma-manifesto agitata come una bandierina di fronte all’Europa. Di fatto, la legge 194 già assicura alle associazioni un ruolo nei consultori. Ma è stata la stessa Commissione Europea, attraverso la portavoce Veerle Nuyts, a segnalare l’incongruenza dell’inserimento della misura tra le modifiche di un Pnrr.

All’articolo 9 , il decreto contiene anche altre «mancette» alla sanità privata. Ad esempio, estende anche all’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma – controllato dal Vaticano e che già riceve annualmente 50 milioni a fondo perduto dal governo – il contributo forfettario per l’accoglienza di migranti titolari della protezione temporanea o che l’hanno richiesta, di cui finora erano destinatarie solo le Regioni. Stessa corsia preferenziale per l’«ordine di Malta». Non è moltissimo: 152 milioni da dividere tra tutti gli enti locali. Ma di questi tempi non si butta niente.