Cercare le motivazioni di un suicidio è sempre esercizio vano ma quello che sta accadendo nelle nostre carceri ha i connotati di una tragedia che non si arresterà finché non si prenderanno le misure caldeggiate dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa ormai quasi un anno fa. Tre giovani di 20, 26 e 33 anni, si sono suicidati nelle ultime ore nei penitenziari di tre regioni italiane, diversi tra loro ma con tratti comuni: il sovraffollamento e la mancanza di qualsiasi percorso di reinserimento sociale. Davanti a sé i tre giovani non sempre avevano un fine pena lungo. Ma la vita libera, probabilmente, faceva loro paura almeno quanto quella da detenuti. Il totale nel 2024 è di 24 suicidi, «uno ogni 3 giorni», denuncia l’associazione Antigone.

Patrick Guarnieri aveva 20 anni, li avrebbe compiuti ieri ma ha deciso di impiccarsi con un lenzuolo all’inferriata della finestra della sua cella di Castrogno, la Casa circondariale di Teramo. Di etnia rom, era finito poche ore prima all’ospedale Mazzini per un malore che lo aveva colto subito dopo l’arresto, probabilmente un attacco di ansia. Nello stesso carcere è rinchiusa anche sua madre che due giorni prima aveva dato in escandescenze e aveva aggredito una dottoressa al pronto soccorso del Mazzini dove era stata trasportata perché si era ferita con la lametta con cui minacciava di tagliarsi la gola. Malgrado la sua giovanissima età, Guarnieri aveva alle spalle una serie di furti e altrettanti arresti e, da ultimo, aveva violato l’obbligo di dimora a Giulianova.

Il carcere di Teramo è da tempo considerato problematico per via della cronica mancanza di personale (secondo i sindacati di polizia supera il 35% della pianta organica) e per il sovraffollamento (a fine febbraio il tasso era 147% : 375 detenuti in 255 posti). Il 25 settembre scorso era stato teatro di una rocambolesca evasione di un detenuto tuttora latitante, e alla fine di gennaio era riuscito a suicidarsi un recluso macedone in attesa di giudizio che aveva già tentato di farla finita dopo aver accoltellato sua moglie.

Poche ore prima della morte di Guarnieri, il trapper Jordan Tinti, in arte Jeffrey Baby, aveva deciso di morire nel penitenziario di Pavia dove era tornato 10 giorni prima, dopo tre mesi trascorsi in una comunità terapeutica. Aveva già tentato due volte di uccidersi in 17 mesi di detenzione durante i quali aveva denunciato (inchiesta archiviata) maltrattamenti e abusi. L’anno scorso era stato condannato per rapina aggravata dall’odio razziale a poco più di 4 anni di carcere. I suoi fan sui social puntano il dito contro il sistema carcerario e le «condizioni disumane e inaccettabili in cui Jordan era costretto a sopravvivere», ma sul caso il Garante nazionale Felice D’Ettore sta raccogliendo informazioni e non è esclusa neppure l’autopsia sul corpo.

«Il carcere di Pavia – riferisce Antigone – a fine febbraio aveva un tasso di affollamento del 126%, con 650 persone a fronte di 515 posti disponibili. Nello scorso mese di ottobre avevamo visitato il carcere trovando alcuni reparti infestati dalle cimici e almeno un detenuto con un nido di insetti tra i capelli. Una delle difficoltà di gestione riscontrate era connessa alla fragilità psichica di molti dei ristretti».

Sempre martedì, nell’istituto napoletano di Secondigliano si è suicidato anche Robert Lisowski, 33 anni. «Era un senza fissa dimora entrato in carcere per omicidio – racconta il Garante regionale Samuele Ciambriello – Era balzato agli onori della cronaca nell’agosto del 2019 per essere stato l’unico detenuto evaso dal carcere di Poggioreale in cento anni di storia». In Campania dall’inizio dell’anno sono 5 i detenuti che si sono tolti la vita. A gennaio 2023, a Secondigliano erano ristrette 1.368 persone in 1.077 posti (tasso del 127%) e «come riferito dal personale sanitario – scrive Antigone – circa l’80% della popolazione detenuta fa uso di psicofarmaci».

«Ogni suicidio è un atto a sé – commenta Patrizio Gonnella, presidente di Antigone – ma quando sono così tanti evidenziano un problema sistemico e segnano il fallimento delle istituzioni. Vanno prese misure dirette a ridurre drasticamente i numeri della popolazione detenuta. Il ddl sulla sicurezza in discussione va nella direzione opposta e potrebbe costituire una esplosione di numeri e sofferenze. Chiediamo ancora una volta – conclude Gonnella – che Governo e Parlamento aprano una discussione pubblica sul tema carceri».