La truffa dei Diesel ammessa dalla Vw disvela il carattere della competizione e della selezione che è in corso tra i grandi produttori dell’autoveicolo. Una competizione fortemente condizionata dalla finanza e dai suoi favori. E non dai limiti energetici e ambientali del pianeta e dalla mobilità.

Una competizione senza esclusioni di colpi con il fine di raggiungere la posizione di Big dove gli Stati e le dimensioni continentali vengono piegate alle necessità immediate delle multinazionali. Tutte le ristrutturazioni, gli insediamenti e le acquisizioni tra i gruppi dell’auto di questi hanno visto il ruolo dei governi e l’intervento pubblico per favorirli e sostenerli, unica eccezione l’Italia che ha assecondato il riposizionamento internazionale di Fiat attraverso FCA a scapito del nostro paese con un carico enorme sui lavoratori Italiani che vedono un peggioramento delle condizioni di lavoro e dei gradi di libertà nei luoghi di lavoro.

Ora il Diesel-Gate deve farci discutere sicuramente delle conseguenze ancora tutte da contabilizzare, dai costi dei richiami a quelli delle class action.

Volkswagen vende veicoli per oltre 200 miliardi di euro l’anno, è il più grande investitore al mondo in ricerca e sviluppo, assicura in Germania 600 mila posti di lavoro diretti (più milioni di posti indiretti nel mondo).

Il settore auto pesa per 300 miliardi di euro di esportazioni, la prima voce del made in Germany. E non è per nulla escluso che il governo tedesco non intervenga per salvarla.

Quindi dando per certo un effetto sulle vendite, del gruppo VW e su quelle dell’intero settore diesel, il rallentamento degli investimenti già annunciato sui nuovi prodotti con le conseguenti ricadute occupazionali sul indotto (c’è già chi sussurra di un calo di commesse intorno al 20%) anche nel nostro paese dove VW ha fatto in questi anni un notevole shopping nella nostra componentistica orfana dei volumi Fiat. Ma dopo il fallimento della competizione «truccata» del diesel, va riaperto il confronto su quale mobilità si deve produrre in Europa, con quali prodotti e quale sostenibilità, con quale ruolo pubblico e con quali diritti, turnazioni e salari . Ricostruendo non solo attraverso i test su strada della auto un controllo pubblico a tutela dei cittadini lavoratori e consumatori ma recuperando lo squilibrio fra i regolatori pubblici e le aziende regolate.

Nelle banche come nell’auto, i guadagni dei manager sono un multiplo di quelli dei funzionari che dovrebbero controllarli e spesso quei funzionari sperano solo di essere assunti da loro. E per Wall Street come per Volkswagen, la conoscenza di tecnologie molto complesse gioca a favore delle imprese su chi dovrebbe controllarle: le aziende sanno tutto perché hanno creato loro quei prodotti, titoli strutturati o motori diesel, i controllori invece devono decostruirli e interpretarli da zero.

Infine questa vicenda non può essere isolata da ciò che accade in questi giorni in Usa tra Fca/Fiat e sindacato dove i lavoratori bocciando l’accordo, potendo a differenza che da noi votare liberamente, hanno portato la Uaw dichiarare lo sciopero che ha le sue origine nei diversi trattamenti salariali a parità di lavoro tra Veterans retribuiti 28$ e i Worker in progression a 15$ l’ora e nella inumanità di turni di lavoro di 10 ore al giorno per quattro giorni alla settimana con variazioni di turni che porta in pochi giorni da un turno di notte ad un turno che inizia prima del alba, orario che ricorda la ribattuta di Melfi e le proposte Fiat in Italia.

Orari che l’impresa automobilistica spinge perché porta l’utilizzo degli impianti giornaliero da 16 a 20 ore senza dover pagare straordinari o indennità. John Klik, un ex lavoratore Chrysler dimessosi da poco ha dichiarato al Detroit News che quell’orario «depriva le persone di sonno e danneggia la loro salute, chi ha una giovane famiglia è senza speranza. Non è vita. E’ sopravvivenza».

Insomma a Detroit annunciano lo sciopero per avere salario uguale ad uguale lavoro e turni da 8 ore. Il modello Fiat/Marchionne subisce una battuta d’arresto in Usa mentre in Italia trova nuova forza nel azione congiunta con gioco delle parti tra Confindustria e governo che tentano di cancellare il contratto nazionale svalutando ulteriormente i salari, caricando sui lavoratori contemporaneamente gli effetti della crisi e gli oneri di una ripresa incerta, estendendo nei fatti il modello Fiat, limitazione del diritto di sciopero compresa.

Riprendere l’iniziativa sul cosa è come produrre nei limiti del pianeta, con quale ruolo pubblico fino a alla ripublicizzazione di servizi dannosamente privatizzati, ricostruendo diritti nel lavoro e redistribuendo orario e salario nel tempo di vita fino ad una pensione da anticipare senza oneri per i lavoratori, sono temi di una azione che richiede rappresentanza politica e azione sociale ora!