Quasi un mese fa, il 10 settembre, la tempesta Daniel ha colpito con forza inaudita il nordest della Libia e in particolare la città di Derna. Migliaia le vittime, ma un numero preciso non c’è ancora per via dei tanti corpi non ritrovati. L’Onu aveva parlato di 11.300 morti e 10mila dispersi citando la Mezzaluna libica. Cifre poi ridimensionate a 3.958 morti e 9mila dispersi. Othman Abduljalil, ministro della Salute del governo di Bengasi, ha detto che 3.283 corpi hanno avuto sepoltura, senza specificare quanti siano stati ritrovati in totale, né il numero di dispersi.

DECINE DI MIGLIAIA GLI SFOLLATI, visto che oltre il 30% degli edifici sono distrutti o inagibili. Un bilancio terribile, legato soprattutto al crollo, sotto la spinta dell’acqua, di due dighe sul fiume stagionale Wadi Derna. La conta dei morti e dei danni della tempesta (potenziata dai cambiamenti climatici come hanno spiegato gli scienziati della World Weather Attribution), è stata resa molto più grave dalla mancata manutenzione delle dighe malgrado gli avvertimenti, dall’assenza di un sistema funzionante di allerta che avrebbe consentito un’evacuazione, perfino dalle informazioni contraddittorie ricevute dagli abitanti.

Mentre i superstiti cercano di riportare la vita nelle aree colpite recuperando spazi abitativi e produttivi non distrutti dalle acque e dai detriti, mentre proseguono gli sforzi per dare un nome a tante vittime e ancora il mare restituisce cadaveri, permangono notevoli difficoltà di accesso alle persone a causa delle strade danneggiate e dei ponti crollati. Si lavora per ripristinare i servizi sanitari e idrici vitali.

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Ma nei giorni scorsi il rappresentante speciale delle Nazioni unite per la Libia, il senegalese Abdoulaye Bathily, si è detto preoccupato per le «iniziative unilaterali e in competizione» da parte dei due governi del paese a proposito della ricostruzione di Derna: «Gli sforzi unilaterali sono controproducenti, accrescono la divisione, minano l’efficacia delle azioni e sono all’opposto della grande solidarietà, sostegno e unità nazionale mostrati dal popolo della Libia nei soccorsi». Le somme che dovrebbero arrivare e il coordinamento con Stati donatori potrebbero diventare, secondo diversi analisti, un’importante arena di conflitto fra le fazioni.

IL GOVERNO DELLA LIBIA ORIENTALE intanto ha posticipato a novembre la conferenza per la ricostruzione. Era stata annunciata per il 10 ottobre. Il Comitato preparatorio ha motivato il rinvio con ragioni logistiche e con la necessità di dare alle imprese più tempo per presentare studi e progetti. Anche il governo di unità nazionale che ha sede a Tripoli ha annunciato una conferenza, senza indicare date. Dopo il disastro, i due governi rivali avevano avviato un coordinamento informale per ricevere gli aiuti, con la logistica organizzata dal governo di Bengasi. Il quale però non è riconosciuto dall’Onu e dalla maggior parte dei paesi; questo forse spiega il rinvio della conferenza, nella difficoltà di mobilitare il sostegno internazionale.

I SUPERSTITI dell’area colpita, spesso privati di tutto, devono anche far fronte a traumi emotivi importanti che rischiano di durare nel tempo. Lo hanno sottolineato gli operatori dell’International Rescue Committee (Irc), presente soprattutto a Derna con squadre mediche mobili e il sostegno a strutture locali. I bambini in particolare sono i più vulnerabili, di fronte alla scomparsa di membri della famiglia e di ogni normalità. Secondo l’organizzazione, «gli sforzi nel lungo periodo devono prevedere per le comunità colpite, insieme al ripristino delle strutture sanitarie e all’accesso ai servizi medici, anche supporti adeguati a programmi psico-sociali e la possibilità per tutti i minori in età scolare di riprendere l’istruzione quanto più rapidamente possibile».

L’AGENZIA Reuters ha visitato le rovine dell’antica città greca di Cirene (ora Shehat), uno dei cinque siti dell’Unesco in Libia, danneggiato dall’inondazione e in parte tuttora allagato. Adel Boufjra, funzionario del locale Dipartimento delle antichità, ha detto di temere che alcune parti possano collassare durante l’inverno per l’eccesso di acqua sottoterra. In compenso la tempesta, lavando via terra e pietre, ha rivelato un sistema di canali dell’epoca romana, prima non noto.