Stilare liste di falsi elettori da inviare al Congresso, fare pressioni su alti funzionari governativi – come l’ex vicepresidente Mike Pence – perché non certificassero l’elezione di Biden, aizzare la folla che ha dato l’assalto al Campidoglio: tutti atti ufficiali dettati dalla buona fede, secondo l’avvocato che ieri ha rappresentato Donald Trump davanti alla Corte suprema, John Sauer.

L’ULTIMO caso dell’anno discusso davanti ai giudici è stato infatti Trump v. United States, che deve decidere se l’ex presidente andrà a processo per le incriminazioni stabilite dal procuratore speciale Jack Smith relativamente al caso sul tentativo di Trump di impedire che Joe Biden entrasse alla Casa bianca. Che i giudici abbiano accettato di pronunciarsi sull’immunità del tycoon dalle accuse è stato già un regalo al candidato repubblicano, ritardando la data d’inizio del processo che avrebbe dovuto aprirsi il 4 marzo.

La distinzione di atti ufficiali e «personali» sarà fondamentale in quanto la supermaggioranza conservatrice dei giudici – sei su nove, di cui tre nominati proprio da Trump – è sembrata poco incline a consentire che un ex presidente venga processato per i suoi atti ufficiali, che aprirebbe secondo loro alla possibilità di un circolo infinito di “vendette” da parte delle amministrazioni future. «Qualunque sia la nostra decisione – ha detto uno dei due giudici più fondamentalisti della corte, Samuel Alito – si applicherà a tutti i futuri presidenti», e ha continuato “smantellando” tutto ciò che l’avvocato del dipartimento di Giustizia, Michael Dreeben, aveva citato come le «protezioni» garantite dal sistema contro ingiuste azioni penali. A partire dalla «professionalità e eticità dei procuratori generali»: ci sono state eccezioni, nota Alito, implicitamente stabilendo che vada presunta la malafede del ministro della Giustizia ma non quella di un ex presidente. Gli risponde la giudice liberal Sonia Sotomayor: «Se il sistema giudiziario fallisce completamente, sarà perché avremo distrutto la democrazia con le nostre stesse mani, no?».

Il reale, e perfino banale, stato delle cose era stato enunciato da Dreeben nel suo discorso introduttivo: «I padri fondatori conoscevano fin troppo bene i pericoli posti da un re infallibile». O in altre parole «nessuno è al di sopra della legge». Ma Sauer si spinge ad affermare che, in assenza di una condanna parlamentare seguita a una procedura di impeachment, un ex presidente possa perfino ordinare un colpo di stato militare, o l’omicidio di un rivale politico, senza temere ripercussioni.

I GIUDICI più a destra hanno tempestato Dreeben di domande per far sembrare che le incriminazioni di Trump siano eccezionali rispetto alla storia della nazione – ribaltando l’eccezionalità di Trump stesso, primo presidente a ordire un golpe per restare al potere: sia Alito che Clarence Thomas (la cui moglie ha fatto parte del movimento Maga per invalidare le elezioni) hanno sottoposto al rappresentante del governo i precedenti che secondo loro sarebbero stati penalmente perseguibili ma che sono stati lasciati cadere proprio in virtù dell’immunità presidenziale: dall’Operazione mangusta autorizzata da Kennedy a Cuba all’omicidio di un cittadino americano sospettato di terrorismo ordinato da Obama. Argomenti pretestuosi che fanno proprie le teorie esposte dall’avvocato di Trump, secondo il quale in base alle incriminazioni di Jack Smith si potrebbe portare a processo anche Biden per aver «consentito l’invasione» dei migranti dal sud del confine.

A DIBATTITO finito, non sembra che i giudici siano intenzionati a dare credito alla presunta «immunità totale» di Trump, ma che i 6 conservatori abbiano deciso di dare un assist alla sua strategia di procrastinazione stabilendo che va chiarita meglio la distinzione tra atti ufficiali – non perseguibili – e personali, cioè incriminabili. Cosa che richiederà tempo, e il plausibile intervento di altri tribunali, oltre all’eventualità di un ritorno davanti alla Corte suprema. Di fatto rendendo nulla la possibilità che il processo giunga a conclusione – o si tenga tout court – prima delle elezioni di novembre.