Più di ogni altro presidente eletto in tempi moderni, Donald Trump sta arruolando un numero considerevole di militari per formare il cerchio di collaboratori più stretti. L’ultimo, in ordine di tempo, è stato annunciato giovedì ed è il marine in pensione James Mattis, chiamato come segretario alla Difesa. Oltre a lui si sta considerando un altro generale in pensione, questa volta dell’esercito, David Petraeus per il ruolo di Segretariato di Stato. Si andrebbero ad aggiungere all’ex generale in pensione John Kelly di cui si parla come capo dell’homeland security e all’ammiraglio Mike Rogers come direttore dell’intelligence nazionale.

TRA I NOMI CERTI c’è quello del consigliere per la sicurezza nazionale, Michael Flynn, che si è ritirato dall’esercito con il grado di tenente generale, dopo aver servito per anni come ufficiale dei servizi segreti militari. Nel ruolo di direttore della Cia invece è già stato posizionato Mike Pompeo, ufficiale dell’esercito durante la guerra fredda.

In America è tradizione sin dai tempi di Washington coinvolgere dei veterani nell’amministrazione per ricoprire alte cariche politiche: Trump sta invece procedendo a riempire la Casa bianca di militari in modo insolito e non consigliabile.

Non c’è dubbio che questi uomini portino con sé un bagaglio di esperienza avendo vissuto in prima persona situazioni delicate dove hanno preso decisioni delicate, ma non è detto che questo tipo di esperienza possa essere traslata in un gabinetto governativo. Oltre a questo, se avere qualche generale in posizioni amministrative è una tradizione americana, un grande numero di militari alla Casa bianca, invece, potrebbe minare un’altra grande tradizione: mantenere il controllo civile di un corpo militare che deve essere apolitico. Trump con queste mosse sta rischiando di politicizzare in modo eccessivo i militari che per ruolo devono essere super partes, militarizzando eccessivamente la gestione politica.

QUESTE NOMINE da parte del presidente eletto giungono inaspettate. Durante la tempestosa campagna elettorale Trump si è spesso mostrato sprezzante nei confronti dei capi militari, si è spesso vantato di saperne più dei generali su come combattere lo Stato islamico, li ha ripetutamente criticati per aver reso pubbliche le loro strategie di attacco prima di attuarle, ad esempio, arrivando a minacciare di rimuovere alcuni di loro una volta assunto l’incarico di presidente. Evidentemente deve averci ripensato.

Il fatto è che nella società americana i militari hanno l’indice di gradimento più alto di qualsiasi altra istituzione, per cui assumere degli ex generali è un modo sicuro per guadagnare legittimità, elemento importante se il presidente eletto è la star di un reality show e un magnate di casino uscito sconfitto dal voto popolare e con una reputazione di principiante assoluto della politica.

UN CASO UNICO di army washing, si potrebbe dire, qualcuno che per rifarsi la reputazione di competente ha bisogno di un bagno nel mare dell’esercito. Nessuno sa se questi militari reclutati da Trump dureranno i quattro anni previsti o se dovranno dimettersi ben prima per manifesta incompetenza, ma Mattis, ad esempio, ha dimostrato genio strategico e operativo come generale dei Marine, ma occuparsi della burocrazia del Dipartimento della Difesa è una questione diversa per uno noto per annoiarsi terribilmente quando si tratta di occuparsi di bilanci o incontri tra agenzie e Casa bianca: non si può gestire il Pentagono come la prima divisione dei Marine. Nel breve termine potrebbe funzionare, ma alla lunga potrebbero soffrirne tutti.