«Roma rinuncia alle Olimpiadi. Un fatto enorme, un’occasione persa». Al contrario di Stefano Fassina che aveva esultato per il no grillino a Roma 2024, Gianluca Peciola, ex capogruppo in Campidoglio di Sel, è molto arrabbiato. E litiga a distanza con colui che è stato, per il suo partito, il candidato sindaco, e che è deputato di Sinistra Italiana, gruppo fondato da Sel.

«Mi stupisce molto la posizione di questi pezzettini di sinistra che seguono in maniera subalterna la linea ideologica del Movimento 5 Stelle».

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Chi è che ha cambiato idea?

La posizione del partito è sempre stata la stessa: non rinunciare a questo appuntamento formidabile – sarebbe una follia pura! – e invece ingaggiare una sfida con i poteri forti, proporre un modello alternativo a quello che vorrebbe chi punta a spartirsi risorse e territorio. Anche come gruppo di Sel in consiglio comunale proponemmo e votammo nel luglio 2015, insieme al resto della maggioranza, l’ordine del giorno in favore della candidatura di Roma. Una sinistra che vuole cambiare la città non può lasciare questo terreno a Malagò e ai soliti padroni dello sport abituati a usare gli eventi sportivi per fare profitto.

Cosa vuol dire? In che modo si può sottrarre loro terreno?

La nostra linea è win-win, vinciamo comunque. Mettiamo sul tavolo del Cio il nostro modello, se lo accetta abbiamo vinto, se lo rifiuta abbiamo vinto lo stesso, perché a quel punto sarà chiaro che sulle Olimpiadi si vuole solo speculare.

Quale sarebbe stata la vostra proposta?

Costituire un comitato olimpico parallelo che ingaggi una sfida con quello ufficiale e proponga un modello basato su tre pilastri: sostenibilità ambientale, no a finanziamenti pubblici, e controllo popolare. Dunque innanzitutto un progetto ecosostenibile senza consumo di territorio, che punti alla riqualificazione delle periferie, agli investimenti sullo sport popolare, al potenziamento del trasporto pubblico e delle infrastrutture, e alla rigenerazione urbana. Un progetto finanziato soprattutto da fondi privati. E la verifica sarebbe affidata, come ci hanno suggerito le associazioni ambientaliste, a un osservatorio partecipato di controllo su legalità e trasparenza. Sarebbe una grande opportunità, anche di vera partecipazione diretta al governo democratico della città

Ma non siamo fuori tempo massimo per modificare il progetto di candidatura presentato al Cio più di un anno fa? Oppure considerate il dossier preparato da Malagò e Montezemolo abbastanza soddisfacente, visto che anche loro parlano di consumo zero del territorio?

No, sicuramente ci sarebbero da fare modifiche sostanziali, ma io credo che siamo ancora in tempo per farle. Sicuramente però si è perso molto tempo in una discussione ideologica sul sì o sul no, mentre gli altri andavano avanti. Io non sono d’accordo con Stefano Fassina e il Movimento 5 Stelle che dicono «al posto delle Olimpiadi» potenziamo, per esempio, il trasporto pubblico. Io dico con l’occasione delle Olimpiadi potenziamo il trasporto pubblico.

C’era anche la via del referendum, come avevate proposto voi e i Radicali…

Certo, e sarebbe stata l’occasione per aprire un grande dibattito pubblico. Io però nel quesito avrei voluto anche una terza opzione, oltre al «sì» e al «no»: la scelta di un modello alternativo che è anche un’altra proposta di governo della città.

Ma non è una contraddizione voler combattere gli interessi speculativi e poi pensare ad un’Olimpiade finanziata soprattutto da privati? Cosa ci guadagnano i privati?

Così si fa nelle socialdemocrazie avanzate. Le strategie le decide il pubblico, anche se i fondi sono privati. Faccio un esempio: va ristrutturato lo stadio Flaminio e non c’è nulla di strano a chiedere i soldi alle società calcistiche.

Il suo è un appello alla sindaca Raggi affinché ci ripensi?

Io credo che così Roma venga solo danneggiata, si perde l’occasione di questa sfida civile e l’opportunità di crescita nella sostenibilità. Vince invece la codardia. Penso sia il momento di far decidere i romani e sottrarre questo dibattito al cerchio magico di Grillo e alle segreterie di partiti inesistenti.