Truong My Lan, presidente del Van Thinh Phat Holdings Group, è stata condannata ieri in Vietnam per una truffa valutata in 27 miliardi di dollari a spese della Saigon Joint Stock Commercial Bank. La sua vicenda è talmente assurda da farle meritare l’appellativo di Madame Dong, dal nome della moneta vietnamita che lei con ostinata perseveranza ritirava in contanti allo sportello: per accumulare un tesoro che, visto che 1 dollaro vale 25.000 dong, si potrebbe valutare in chili, anzi in tonnellate, più che in biglietti di banca.

L’ASPETTO TRAGICO della vicenda è che Truong è stata condannata a morte per un reato finanziario: corruzione, violazione dei regolamenti bancari e appropriazione indebita. Reati che normalmente prevedono sanzioni, pene detentive e congelamento dei beni ma non certo il plotone di esecuzione (previsto in Vietnam). I giudici del Tribunale popolare di Ho Chi Minh City le hanno comunque ingiunto di risarcire 673,8mila miardi di Dong, parte dei quali già recuperati perché nascosti in casa.
La stampa vietnamita spiega che l’abile truffatrice aveva approfittato del piano statale di ristrutturazione della Saigon Commercial Bank usandola «come una mucca da mungere» dopo aver fuso con l’istituto di credito altre due banche che le consentivano, alla fine, di possedere indirettamente il 91,5% del capitale della Saigon. Che, con un giro di prestanome e funzionari corrotti, veniva “munta” con prestiti al suo gruppo immobiliare. Ma il particolare più assurdo è che questo sistema le permetteva anche di prelevare contanti a suo piacimento che poi nascondeva nel seminterrato di casa.

SECONDO i magistrati, solo negli ultimi tre anni, Madame Dong – conosciuta come uno dei motori dell’espansione economica del Paese sulla cui piazza finanziaria era ben nota – ha mandato regolarmente il suo autista a ritirare un po’ per volta in contanti 108mila miliardi di Dong (oltre 4 miliardi di dollari). Evidentemente oltre al denaro “virtuale” a Truong piaceva bearsi come Paperone delle montagne di bigliettoni. Mentre faceva trasferire prestiti dalla Saigon Bank a società di copertura con un sistema di “scatole cinesi”, anzi vietnamite. Con lei, una sinovietnamita che ha iniziato la sua carriera da una bancarella, sono stati giudicati anche diversi sodali: quattro hanno ricevuto l’ergastolo mentre ad altri sono state inflitte pene detentive che vanno dai 3 ai 20 anni. Marito e nipote di Truong hanno ricevuto pene rispettivamente di 9 e 17 anni.

Oltre all’aspetto drammatico della pena di morte e a quello più singolare del sistema – sia di prestiti a consociate sia di prelievo del contante – parecchi aspetti restano oscuri. Si tratta dell’evento più incredibile e al contempo drammatico della campagna anti-corruzione Blazing Furnaces guidata dal segretario del Partito comunista, Nguyen Phu Trong. Ma benché i giudici abbiano scoperto che anche i revisori della Banca di Stato del Vietnam erano stati corrotti, è abbastanza incredibile che per oltre un decennio Madame Dong abbia potuto continuare indisturbata sia a fare travasi di miliardi sia a ritirare migliaia di banconote in un Paese dove l’occhiuto regime vietnamita è in grado di registrare il benché minimo battito d’ali. Del resto avevano già destato scalpore in marzo le dimissioni del presidente Vo Van Thuong – a un anno dal suo insediamento – dichiaratosi colpevole di «violazioni e inadempienze».

BIZZARRO anche che la notizia del giorno su diversa stampa locale sia assente o meno in evidenza del processo all’ex direttore del dipartimento di polizia di Hai Phong, comparso in tribunale per l’inizio del suo processo con altri 12 imputati per frode, evasione fiscale e commercio illegale di fatture. Scatole vietnamite.