Se il buon giorno si vede dal mattino, l’avvio della campagna referendaria lascia prevedere cinque mesi di violenza verbale, di forzature, menzogne e abusi di potere di cui proprio non si sentiva il bisogno.

Non si era ancora spenta l’eco dei nuovi editti bulgari all’indirizzo di giornalisti non ossequiosi, che è scoppiata quest’altra penosa grana. Enrico Berlinguer, Pietro Ingrao e Nilde Jotti variamente arruolati tra gli antesignani della «riforma» renziana.

Non certo perché davvero lo si creda, che discorsi. Ma perché può servire, se non altro, a confondere le acque e le carte.

Naturalmente chi ha a cuore la buona memoria del Pci e dei suoi dirigenti storici ha subito reagito e puntualizzato. La questione potrebbe con ciò considerarsi chiusa, almeno in punto di diritto. Ma forse vale la pena di dedicare qualche minuto a quello che episodi del genere rivelano o confermano. E, appunto, fanno presagire.

In primo luogo, perché questa scelta, perché queste figure?

È ovvio che, chiamando in causa emblemi del «vecchio Pci», i propagandisti del Sì sperano di convincere l’ala sinistra dell’elettorato democratico, in sofferenza per lo sgangherato protagonismo renziano e per le politiche padronali del governo, oltre che per il merito di un pateracchio che minaccia di trasformare la repubblica parlamentare in un regime iper-presidenzialistico.

Si dirà: è la logica della propaganda. Vero. Ma c’è propaganda e propaganda, come c’è argomento e argomento. Questo uso della propaganda politica è odioso proprio perché, come si diceva, punta a disinformare e a fuorviare. Odioso, ma anche utile: una misura fedele di che cosa è diventata la politica oggi, nell’Italia del renzismo trionfante.

Si fa una cosa di destra, che più di destra non si può. Si pongono le premesse per una dittatura della premiership sfigurando la Costituzione e agganciandola a una legge elettorale che consegna i pieni poteri al Capo del partito di maggioranza relativa (una esigua minoranza del paese).

Ma al tempo stesso la si camuffa da cosa di sinistra, per raggirare qualche milione di disinformati.

Di più. Mentre si medita di disegnare le istituzioni della Repubblica in forme consone allo strapotere delle oligarchie vicine al capo del governo, si agitano i volti di personaggi della storia repubblicana che incarnano valori antitetici. Il rispetto delle istituzioni e della cosa pubblica. La concezione partecipata della democrazia. L’appartenenza alla storia e alla cultura di quel movimento operaio che si considera un’anticaglia e un fastidioso residuo del tempo che fu.

Una perfetta vergogna.

Spiace in tutto questo soprattutto l’abuso dell’icona di Enrico Berlinguer, chiamata in causa direttamente dal presidente del consiglio, come già fece qualche tempo fa Veltroni, altro campione dell’americanismo italiota. Avesse se non altro buon gusto, Renzi non si sarebbe permesso di scomodare un uomo che mai avrebbe fatto del proprio partito una macchina da guerra contro il mondo del lavoro e contro il sindacato.

Ma si capisce, per chi vuole vincere a tutti i costi non è semplice resistere alla tentazione di sfruttare l’immagine di chi non può difendersi. Propaganda, sì: ma di infimo ordine. O piuttosto irrisione e presa in giro. Conforme, del resto, a tutto uno stile di governo.

Veniamo infine ai due argomenti che Renzi si è inventato per dare forza alle proprie esternazioni in giro per l’Italia.

Se prevale il No, sostiene, vince l’ingovernabilità e trionfano gli inciuci. Quindi oggi, visto che la bella «riforma» non è ancora in vigore, l’Italia non sarebbe governata? Per certi versi in effetti è così, dipende dall’idea che si ha del governo e del buongoverno. Ma evocare il caos si inscrive a pieno titolo nella categoria del terrorismo mediatico per la quale valgono le considerazioni precedenti.

Quanto agli inciuci, forse è questa l’unica punta di paradossale verità in questa fiera della mistificazione.

Lui, che sistematicamente impone alle Camere la propria volontà grazie al soccorso verdiniano, sembra voler dire – o dire suo malgrado – che simili mezzi – simili inciuci, appunto – imperverseranno, finché siederà a Palazzo Chigi, a meno che non gli si consegnino tutte le chiavi del potere con la sua «riforma».

In altri termini: bisogna «dire sì», come ai bei tempi delle adunate oceaniche, giusto per rendere superfluo lo sconcio al quale siamo costretti ad assistere. Non per «cambiare verso», solo per dare al Capo la possibilità di fare il bello e il cattivo tempo.

La morale di questa storia è tutta politica, oltre che morale.

Il renzismo si riduce a un binomio: strapotere delle lobbies e uso spregiudicato – compulsivo e mendace – della comunicazione (con la zelante complicità dei giornali «perbene»).

Per i prossimi mesi questa miscela tossica minaccia di pervadere la sfera pubblica. Contrastarla sin d’ora – oltre che prepararsi a bocciare sonoramente la controriforma della Costituzione – è indispensabile per scongiurare l’inquinamento irreversibile della politica italiana.