Nella notte più lunga e più nera dell’Unione europea, la giacca gliel’hanno lasciata, ma il tentativo di Tsipras di mitigare la ricetta di lacrime e sangue si è scontrato con un muro. Come era prevedibile, inevitabile. Al giovane leader greco è stata risparmiata solo l’umiliazione di collocare il “fondo di garanzia” di 50 miliardi nel paradiso fiscale di Juncker, il Lussemburgo.

Il piccolo paese devastato dai cinque anni di austerità dovrà ancora sopportarne il peso, percorrendo una strada tutta in salita. La Grecia finisce sotto amministrazione controllata, soprattutto dalla Troika, che torna ad Atene con il compito di vagliare ogni legge nazionale. Inoltre il nuovo memorandum prevede mano libera sui licenziamenti collettivi. Non due rospi da ingoiare insieme agli altri punti dell’accordo, ma il ritorno allo statuto di colonia tedesca. Con tutte le conseguenze facilmente immaginabili in un paese destabilizzato, con le banche ancora chiuse e le destre nazionaliste in ebollizione.

Ma se è vero che la materia del contendere a Bruxelles non era di natura economica (una questione che vale il 2% del Pil europeo), se la partita giocata fin dall’inizio è stata squisitamente politica – togliere di mezzo l’inaffidabile leader di Syriza e l’anomalia del suo governo – allora se oggi Tsipras lasciasse il campo si realizzerebbe anche quest’ultimo diktat di Bruxelles.

Il presidente del consiglio greco, finché potrà, dovrà tenere il timone ben fermo per tentare di guidare la sua nave in mezzo alla grande burrasca, e se nell’accordo capestro c’è tuttavia il riconoscimento dell’insostenibilità del debito, e 35 miliardi di fondi europei per gli investimenti oltre a un prestito di 86 miliardi, non è garantito che il timoniere riesca a raggiungere un porto sicuro.

La minoranza interna, con i parlamentari e i ministri che la rappresentano, ha buone ragioni per non votare “l’atroce elenco” (Der Spiegel) e a criticarlo è lo stesso ex ministro Varoufakis che rimprovera a Tsipras di aver firmato l’accordo e di non aver messo sotto controllo la Banca centrale innescando così il piano B. Ma chi garantisce che un gioco al rialzo avrebbe ottenuto risultati migliori?

E comunque c’è anche il rovescio della medaglia, e cioè la “follia vendicatrice” della Germania, come la chiama Paul Krugman, non è a costo zero. Il suo oltranzismo, fino alla esplicita volontà di umiliare la vittima, ha impressionato molti ambienti tedeschi, oltre ad aver messo in evidenza una frattura con la Francia. Per il futuro è in discussione lo strapotere della leadership germanica.

L’Italia non ha certo giocato un ruolo da protagonista. Renzi venerdì scorso pronosticava che il summit finale non sarebbe stato necessario perché l’accordo si sarebbe trovato facilmente.

Comincia ora il secondo tempo del dramma greco.

Un paese che ha sconfessato i governi dell’austerità, un popolo che ha dimostrato una grande dignità, i giovani che hanno dato fiducia alla sinistra mandandola al governo devono affrontare una navigazione perigliosa. Senza voltare le spalle al loro leader, consapevoli dell’impossibilità di praticare la via della giustizia sociale in un solo paese.