È bene ragionare su quanto è successo in Abruzzo e nelle Marche in questi giorni con centinaia di migliaia di persone senza energia elettrica e al freddo, per una settimana e anche più. La tragedia dell’Hotel Rigopiano ha inevitabilmente calamitato l’attenzione dell’informazione ma è doveroso non perdere di vista il contesto più generale.

Se l’incapacità palese delle Province e della Regione nel fare fronte a un’emergenza neve annunciata mostra i limiti di una classe dirigente e le conseguenze dei tagli pesanti alle Province nascosti dietro il paravento di una pseudo-riforma, l’apocalisse energetica vissuta in questi giorni dovrebbe indurre a riflettere sulle conseguenze delle «riforme» bipartisan che questo paese subisce da un venticinquennio.

È giusto esigere le dimissioni dei vertici dell’Enel come fanno all’unanimità i capigruppo della Regione Abruzzo o rivolgersi ai giudici come stanno facendo cittadini e amministratori locali. L’amministratore delegato renziano dell’Enel Francesco Starace avrebbe dovuto essere cacciato a calci nel sedere già dopo il vergognoso discorso alla Luiss in cui illustrava il suo approccio all’organizzazione aziendale: «Bisogna creare malessere e poi colpire le persone che si oppongono al cambiamento». Evidentemente oltre che ai dipendenti pensava anche agli utenti!

Un cambio ai vertici è indispensabile ma sarebbe ora di ammettere che siamo di fronte alle conseguenze di quel capolavoro del «riformismo» neoliberista che è stato lo «spezzatino» dell’Enel. Si è rivelata disastrosa la scelta strategica di spezzettare l’Enel in varie società quotate in borsa che investono all’estero o in altri settori come le telecomunicazioni, con l’occhio agli azionisti molto più che agli sventurati cittadini che da utenti son diventati clienti. Una scelta che si è tradotta in costanti tagli agli investimenti, pochissima manutenzione e vigilanza, scarso ammodernamento, drastica riduzione del personale, ricorso sistematico a ditte esterne, segmentazione di un servizio a rete che ha prodotto il caos.

Lo scrivono gli stessi sindacati di categoria che constatano, fin troppo pacatamente, «l’estrema fragilità della rete elettrica italiana, il suo assetto organizzativo e l’inadeguatezza di investimenti e manutenzioni», «interruzioni del servizio che evidenziano carenze strutturali del sistema», «evidenza oggettiva dello stato di precarietà in cui versano linee e cabine che costituiscono il sistema di trasporto e distribuzione di energia elettrica – in bassa e media tensione – del nostro Paese», «riduzione delle risorse tecniche ed operative sul territorio che obbligano a improvvisare delle task force, a mobilitare tutti i volontari da altre Regioni necessari per affrontare le emergenze; la perdita della conoscenza del territorio e degli impianti che vi insistono».

Gli eventi confermano che non erano infondate le funeste profezie di chi contrastava questa «riforma» di cui menavano vanto Pierluigi Bersani e altri «modernizzatori». La vecchia sinistra si era battuta per la nazionalizzazione dell’energia elettrica. Quella post-‘89, anche in questo campo, ha smontato quanto era stato realizzato per accreditarsi come moderna, «riformista» e blairiana. Come al solito l’operazione era partita con il governo Berlusconi ma poi a concretizzarla ci avevano pensato i centrosinistri. All’epoca Repubblica, il cui editore poi avrebbe investito nel settore energetico, ironizzava su «l’immancabile niet di Rifondazione comunista, arroccata nella difesa dell’Enel di Stato» («Rivoluzione elettrica, atto primo», 1 febbraio 1997).

La neve ha disvelato un’emergenza che si fa finta di non vedere. Gli apprendisti stregoni che ci propinano sempre nuove disastrose controriforme dovrebbero confrontarsi con i dati di fatto e la realtà del paese.