Gentile direttrice,

il manifesto è tra i pochi quotidiani a seguire con attenzione il tema del pluralismo politico radiotelevisivo, un’attenzione che non è venuta meno neanche in questa campagna elettorale.

Fra i contributi, due si sono soffermati sul ruolo della Commissione di Vigilanza Rai, stigmatizzando l’operato del sottoscritto. Vorrei cogliere questa occasione non tanto per difendermi da accuse che appaiono condite da una dose di acredine, quanto per spiegare quale dovrebbe essere il perimetro d’azione di questo organo.

Ho detto più volte che come Presidente della Vigilanza non mi comporterò come alcuni miei predecessori.

Fino al recente passato era prassi alzare il telefono, a torto o a ragione, per influenzare l’attività della Rai. Questo modo di intendere l’istituzione non ha fatto altro che alimentare quel perverso intreccio fra partiti e Rai i cui effetti sono ancora oggi visibili. Credo che alcuni dei giudizi espressi sul mio operato siano il retaggio di quella cultura.

Dobbiamo farci interpreti di un modo diverso di agire nelle istituzioni.

Chi invoca la censura non troverà mai in me una sponda, neppure per una richiesta a furor di popolo, come quella relativa al blocco preventivo dell’intervista a Riina jr. L’episodio di Renzi alla «Partita del cuore» non è un termine di paragone: in quel caso la violazione di legge era palese e oggettiva (in par condicio i soggetti politici non possono partecipare a trasmissioni d’intrattenimento) e si è potuto agire preventivamente.

È un altro l’esempio che siamo chiamati a dare.

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Penso che la forza di un Presidente della Vigilanza non risieda nella sua capacità di influenzare le scelte aziendali, ma di farsi garante di tutti i soggetti, anche attraverso azioni forti, e sempre nel rispetto dei confini del proprio ruolo.

In questa campagna elettorale, così come nella scorsa (v. l’«intervista» di Giletti a Renzi sanzionata dall’Agcom anche dopo il nostro intervento), ho più volte denunciato il vulnus oggi più grave del pluralismo: il peso eccessivo del premier e dei ministri nell’informazione, a volte esercitato attraverso scorrettezze e comparsate ai limiti della legge.

Una deriva monocratica che riflette le torsioni della forma di governo e che si rivolge in primis contro le minoranze, ma anche contro la stessa maggioranza.

Mi si rimprovera di non aver bloccato la propaganda referendaria di Boschi e Napolitano. Davvero qualcuno crede che possa impedire, nella mia veste, la partecipazione di un membro del Governo a una trasmissione d’informazione? Secondo quali norme e con quali atti? Bizzarrie a parte, la reazione agli spot referendari è stata immediata.

Le dichiarazioni in rete non sono sfoghi personali ma semplicemente un modo più diretto di comunicare i passi ufficiali che compio in Vigilanza: in questo caso, la richiesta alla Rai di garantire fin da oggi il pluralismo e la completezza dell’informazione sul referendum costituzionale.

Da tre anni a questa parte, l’esigenza di porre un argine all’egemonia del Governo nell’informazione ha ispirato la mia attività sia come deputato – quando ho fatto una proposta di riforma della Rai e mi sono opposto a una legge oscena – sia come Presidente della Vigilanza, non abbassando mai la guardia sull’applicazione della par condicio anche nei periodi non elettorali, producendo incessantemente atti di controllo, oppure mettendo a disposizione dei cittadini uno strumento come il sito Open Tg, attraverso il quale ciascuno può verificare ogni mese, in una forma semplice e comprensibile, quanto il potere esecutivo pesi nell’informazione dei notiziari.

Queste azioni, così come i passaggi delle ultime ore, dimostrano che è possibile esercitare il proprio ruolo di garanzia senza compiere abusi, che è possibile concepire le istituzioni non in forma personalistica e agire all’interno di esse in modo diverso rispetto al passato.

* L’autore è deputato M5S, presidente della Commissione vigilanza Rai