Dopo quasi due anni dalla decisione di cancellare il diritto federale all’aborto, ribaltando la sentenza Roe vs. Wade che dal 1973 garantiva in tutti gli stati l’accesso all’interruzione di gravidanza, la Corte Suprema è tornata sul tema.

Ieri l’Alta Corte ha iniziato ad ascoltare le argomentazioni nel caso Food and Drug Administration (Fda) contro la Alliance for Hippocratic Medicine, un caso incentrato sulle modalità di accesso al mifepristone, uno dei due farmaci del protocollo per l’aborto farmacologico, e in particolare sulla possibilità di continuare a consentirne la prescrizione tramite telemedicina e la commercializzazione per posta.

Negli Stati Uniti le interruzioni di gravidanza per via farmacologica sono il metodo di aborto più utilizzato; secondo il Guttmacher Institute lo scorso anno il 63% degli aborti avvenuti negli Usa sono stati farmacologici. Il mifepristone, che è in uso dal 2000 in combinazione con il misoprostolo, è considerato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità una pratica sicura, che evita alle donne di dover affrontare interventi chirurgici, anestesia e ospedalizzazione. Revocare l’accesso alla telemedicina o alla distribuzione del mifepristone tramite posta, di fatto impedirebbe l’accesso all’aborto farmacologico in molti stati dove non si può avere accesso a un aborto chirurgico, con un impatto su milioni di donne.

I giudici si pronunceranno entro giugno, a pochi mesi dalle elezioni, e l’attenzione sull’argomento è alta: a Washington, davanti la Corte Suprema sin dal mattino si sono svolte manifestazioni pro e contro il diritto all’aborto, con le prime decisamente più numerose e partecipate.

Da quando Roe vs. Wade è stata rovesciata, dando via libera agli stati per implementare le proprie leggi in termini di diritto all’aborto, gli stati a guida repubblicana hanno ridotto o cancellato questo diritto per circa 25 milioni di donne, facendo aumentare il flusso dei viaggi in stati dove l’aborto non è vietato, per chi può permetterseli. Negli stati guidati dal Gop l’unico modo per interrompere legalmente una gravidanza è ricorrere all’aborto farmacologico, che nel 2016 era invece stato esteso dalle prime 7 alle prime 10 settimane di gestazione.

Al momento i giudici più conservatori – Samuel Alito e Clarence Thomas – hanno iniziato mettendo in dubbio la sicurezza delle pillole e si sono concentrati sul Comstock Act, una legge del 1873 (il presidente era Ulysses Grant, il generale nordista) che criminalizzava la circolazione e spedizione di pubblicazioni “oscene o lascive” e “qualsiasi articolo o cosa progettata o intesa per prevenire il concepimento o procurare l’aborto”.

Una delle questioni sollevate dai giudici meno di destra è che una sentenza che va contro la Fda aprirebbe la strada a ricorsi legali contro altri farmaci e trattamenti approvati dall’agenzia, come contraccettivi e vaccini.
Durante la presentazione del caso, più volte i giudici sono sembrati scettici sul fatto che un gruppo di medici e organizzazioni anti-aborto abbia il diritto di contestare l’approvazione di un farmaco da parte della Fda.
Descrivendo il caso come uno sforzo di «una manciata di individui», il giudice Neil Gorsuch ha affermato che il caso può costituire «un ottimo esempio di trasformazione di quella che è una piccola causa, in un’assemblea a livello nazionale sulle mosse della Fda, come di qualsiasi altra azione del governo federale».

Le sue domande nel corso di quasi due ore di discussione sono state riprese anche dagli altri giudici, tranne che da Thomas e Alito, chiedendo se qualcuno dei medici coinvolti nella causa potesse mostrare delle prove riguardo un danno reale derivante dall’approvazione e dalla regolamentazione del mifepristone da parte del governo.